domenica 8 aprile 2018

Il Fatto 8.4.18
“Congiura delle élite per far fuori il leader che unisce il Paese”
Sogni infranti – Bertinotti conobbe Lula da sindacalista
di Gianluca Roselli


Siamo di fronte a un colpo di Stato bianco preventivo. Di solito non amo parlare di congiure, qui però mi pare evidente. Si vuole mettere fuori gioco il probabile vincitore delle prossime elezioni”. Fausto Bertinotti, ex leader di Rifondazione comunista ed ex presidente della Camera, guarda alla condanna dell’ex presidente brasiliano Lula a 12 anni di carcere e al suo arresto con amarezza, sgomento e rabbia.
Bertinotti, lei è stato molto vicino ai movimenti di sinistra in Sudamerica. Che sta succedendo in Brasile?
Quello che vedo è un uso politico della magistratura che diventa il braccio armato di classi dirigenti che lavorano per un esito reazionario della crisi in Brasile, in un momento di grandi tensioni nel continente sudamericano. E si pensa di ottenerlo mettendo fuori gioco il leader che ha interpretato la rinascita di quel Paese e che i sondaggi danno all’80%. È un’operazione politica clamorosa che non si arrende nemmeno davanti alle reazioni popolari. Basti ascoltare le parole del leader del Movimento dei Sem Terra, Joao Pedro Stedile, per capire il sentimento di molti brasiliani. Stedile, critico in passato con Lula, ora è al suo fianco di fronte all’ingiustizia.
Chi vuole far fuori Lula?
Ci troviamo di fronte a una convergenza degli interessi di punti apicali dello Stato e dell’economia che si uniscono per impedire una riconciliazione tra il governo e il popolo che Lula incarna. Con la complicità della magistratura usata per impedire il voto popolare. Addirittura si dice che Lula potrebbe restare in carcere fino alle elezioni e poi essere liberato. Più di così…
Che rapporto ha lei con l’ex presidente brasiliano?
Lo conobbi ai tempi del mio impegno nel sindacato. Di lui però ricordo il discorso che tenne nel 2002 al social forum di Porto Alegre poco prima della sua elezione a presidente. Disse: “Alla fine del mio mandato vorrei che ogni brasiliano possa mangiare almeno una volta al giorno”. Qualche tempo dopo davanti al Fondo monetario internazionale disse esattamente la stessa cosa. Questa è la cifra della persona.
Al di là della condanna, secondo lei è giusto candidarsi per la terza volta alla presidenza?
La sua candidatura nasce da una spinta popolare che suona come una rivincita rispetto a quello che sta accadendo. Gli uomini e le donne che lo sostengono sono la garanzia che non stiamo assistendo a un fenomeno leaderistico. Lula ha anticipato in qualche modo i movimenti populisti. Ma attenzione: dico populista non in senso peronista o denigratorio, ma descrittivo. Un fenomeno che fa dello scontro tra il popolo e le élite, del basso verso l’alto, un elemento distintivo, più che tra destra e sinistra.
Lula, Chavez (deceduto nel 2013), Morales sono stati tre protagonisti di sinistra nella recente storia sudamericana. Quella stagione è finita?
No, direi che si sta trasformando. I tre hanno avuto caratteristiche e storie troppo diverse tra loro: la tradizione indigena nel caso di Morales, quella operaia in Lula. Diciamo che li accomuna il vento di cambiamento che ha spirato per oltre un quindicennio in America Latina.
Lula è stato un leader sindacale prima di diventare un leader politico. Ci rivede un po’ della sua storia?
Troppa grazia, Sant’Antonio. No, non vedo alcun parallelismo, anche perché noi non abbiamo mai vinto con le percentuali di Lula. Battute a parte, mi limito a dire che un’esperienza sindacale o sociale forte per un leader di sinistra può essere molto utile perché insegna a capire le ragioni del conflitto e ad avere una radicalità di contenuti che ne traccia anche la vita politica.