sabato 7 aprile 2018

Repubblica 7.4.18
La caduta dell’ex presidente del Brasile
Lula e il crepuscolo degli dei
La sua parabola riassume l’ennesima tragedia di una sinistra che ansima da sempre tra entusiasmi e feroci delusioni
di Vittorio Zucconi


Fu chiamata la “ Marea Rosa”, lo tsunami di una grande speranza per l’America Latina, oggi infranta nell’assedio umiliante all’ex presidente condannato e renitente, a Lula in Brasile. Era la marea di una nuova sinistra democratica e riformista non rossa, più indigena che guevarista, che aveva investito l’America Latina dal Venezuela alla Patagonia con la promessa di una nuova alba di giustizia sociale. Ma la grande onda che sembrava destinata a sommergere il continente si è spenta e l’acqua si ritira lasciando visibili i relitti di un’altra grande illusione.
La parabola di Inácio Lula da Silva, la storia della ascesa e della caduta di questo amatissimo e ancora oggi molto popolare personaggio dentro e fuori il Brasile, riassume in sé l’ennesima tragedia di una terra che ansima perennemente fra entusiasmanti speranze e feroci delusioni, fra scosse populiste epocali e delusioni concrete quotidiane. Nessuno, non in Ecuador, in Perù, in Venezuela, in Bolivia, ovunque la “Marea Rosa” si fosse alzata, era riuscito a incarnare meglio di lui, di questo presidente del popolo, di questo affascinante “uomo qualunque”, le speranze della nuove politiche di redistribuzione della ricchezza ed era riuscito a produrre più risultati. Dunque nessuno rappresenta meglio di lui e della disperazione dei suoi fedeli rimasti a far quadrato per impedirne l’arresto, l’abisso del nuovo, ennesimo autunno di un altro patriarca.
Dalla caduta de L’Avana nelle mani di Fidel Castro il primo gennaio del 1959 all’arresto di Lula da Silva ieri quasi sessant’anni dopo è scritta la storia di una Sinistra latina prigioniera di una terra sempre “troppo lontana da Dio e troppo vicina all’America”, al Grande Norte, come scriveva il poeta messicano Octavio Paz. Generazione dopo generazione, si sollevano movimenti e illusioni, leader e organizzazioni che tra la violenza guerrigliera alla Tupamaros, o ancora prima alla Zapata, alla via democratica dei Lula e degli Allende promettono quello che inesorabilmente non riescono a mantenere, senza abbandonarsi al peronismo che da due generazioni intossica l’Argentina. Ma sprofondano nelle sabbie mobili delle prepotenze esterne, della corruzione interna, di investimenti stranieri speculativi che accorrono e fuggono dopo avere rapinato, del fatalismo, della impossibilità. Zapatistas e Barbudos, Chavistas e Caracazos venezuelani, le onde si alzano e poi la palude vince. I corvi dei fondi d’investimento “becca e fuggi” chiedono le loro libbre di carne e volano via.
Con molta fretta e qualche acre gioia, lassù nel Grande Norte, in quegli Stati Uniti oggi più ferocemente arcigni di prima nelle mani di un Presidente che detesta tutto il mondo di “stupratori, spacciatori e ladri” a Sud della “Frontera” del Rio Grande, qualcuno pronuncia già il requiem anche per le nuove sinistre latine, annunciando la fine di questo esperimento di rivoluzione sociale ed economica non violenta.
L’appello dei successi e dei risultati, obiettivamente, è deprimente. Il Venezuela di Maduro è una tragedia umana, prima che politica, che il mondo preferisce malevolmente ignorare o vuole ignorare perché il “Chavismo” consumi in un ultimo falò la minaccia al Nuovo Ordine Mondiale che aveva portato. Ogni giorno, mentre i resti della vita democratica sono puntualmente schiacciati, file di venezuelani attraversano la frontiera con la Colombia non per emigrare ma per cercare alimenti e medicinali da riportare a casa.
In Bolivia Evo Morales, il sindacalista dei coltivatori di piante di coca che era riuscito, con nazionalizzazioni draconiane a ridurre la povertà di un massiccio venticinque per cento godendo di un favore immenso, è riuscito a farsi rieleggere con appena un punto percentuale sopra l’avversario, mentre la sua ex favorita e amante, Gabriela Zapata è sotto accusa per avere ricevuto una supertangente di 500 milioni di dollari dai cinesi. Brasile e Argentina, che avevano temporaneamente goduto del boom delle materie prime, fra petrolio e agricoltura, dei primi anni del Duemila, restano imprigionate dalla corruzione che inesorabilmente riaffiora e divora la ricchezza. Anche i più coraggiosi, i più sinceri, come Rafael Correa, l’ex presidente dell’Ecuador con sangue indio, cresciuto dai salesiani e dalle università cattoliche, figlio di un corriere della droga che lui difese spiegando che gli spacciatori spesso erano “madri di famiglia, padri disoccupati e alla fame”, devono difendersi dal ritorno di avversari politici conservatori.
Ma l’annuncio della morte delle nuove sinistre centro e latino americane, incluso il Messico dove è possibile il ritorno della opposizione progressista al governo dopo trent’anni, può essere largamente prematura. Il tradimento delle persone, dei Lula, dei Maduro, della Dilma Rousseff delfina di Lula, non comporta l’abbandono delle speranze che la “Marea Rosa” aveva sollevato. Milioni di boliviani, ecuadoriani, brasiliani, colombiani, venezuelani hanno assaggiato il sapore di nuove politiche di redistribuzione della ricchezza e dell’uscita dalla miseria e quel gusto rimane. Oltre la nausea per gli errori e le debolezza degli uomini e delle donne che li avevano traditi. Le maree vanno e poi ritornano.