sabato 7 aprile 2018

Repubblica 7.4.18
Di Maio
“Al Pd dico: sotterriamo l’ascia di guerra e diamo un governo al Paese”
intervista di Annalisa Cuzzocrea


Luigi Di Maio, lei è uscito dallo studio di Sergio Mattarella formalizzando una proposta a due forze alternative: la Lega e il Pd. Ma come può pensare di andare al governo indistintamente con chi è per i vaccini e chi è contro; chi sostiene la Russia di Putin e chi espelle due suoi diplomatici; chi è pronto a uscire dall’euro, e chi non ci ha mai pensato?
«Non mi risulta che le posizioni delle due parti siano queste. In ogni caso, il governo si fa per risolvere i problemi concreti della gente e abbiamo il dovere di provarci partendo dalla situazione uscita dalle urne: forze politiche distanti, ma che devono trovare una sintesi su temi cruciali, portando ognuna le proprie soluzioni e proposte. Con chi troveremo le convergenze maggiori, lavoreremo».
Ma come si fa ad aprire contemporaneamente a due forze opposte?
«Lega e Pd non devono sentirsi sullo stesso piano. So di parlare a due forze politiche profondamente diverse».
Che vuol dire che non sono sullo stesso piano? Con una delle due si possono trovare più convergenze?
«Non è quello che intendevo».
Crede che le politiche sull’immigrazione del Pd e quelle di Salvini siano scambiabili?
«Il punto non è questo, ognuno porta le sue idee, il contratto si scrive insieme. Per questo ci sediamo intorno a un tavolo, per ragionare e trovare insieme una sintesi che serva a dare risposte e non a scontrarsi muro contro muro».
In campagna elettorale il Movimento ha usato un linguaggio sferzante nei confronti del Pd e di Renzi.
Perché il Pd dovrebbe aprire?
«Io non sto rinnegando le nostre idee né le critiche che in più momenti abbiamo espresso anche aspramente nei confronti del Pd, e che anche il Pd non ci ha risparmiato. Credo però che ora il senso di responsabilità nei confronti del Paese ci obblighi tutti, nessuno escluso, a sotterrare l’ascia di guerra. A noi viene chiesto l’onere di dare un governo al Paese, ma tutti hanno il dovere di contribuire a risolvere i problemi della gente e di mostrare senso di responsabilità».
Immagini che Martina si sieda al tavolo con lei per discutere di un governo e le chieda di confermare Jobs Act e Buona scuola: come risponderebbe?
«Che se rimaniamo ognuno sulle proprie posizioni non si va da nessuna parte. Renzi stesso ha ammesso che la buona scuola non ha funzionato del tutto e doveva essere migliorata. Io credo che ci potranno essere molte più convergenze di quel che si crede».
In questi giorni ha parlato con Martina. Cosa vi siete detti?
«Ci siamo sentiti in occasione dell’elezione del presidente della Camera ed è sempre stato un confronto franco. Martina è una persona con cui si può parlare e spero che il Pd si sieda al tavolo».
Perché ha tolto il veto su Renzi? È stato un segnale nei confronti del capo dello Stato?
«Io non ho mai posto veti o parlato di Pd “derenzizzato” come qualcuno ha scritto. Quello che abbiamo sempre contestato è la linea di totale chiusura decisa dal Pd all’indomani delle elezioni. Oggi il nostro appello sincero a mettere da parte le asperità per il bene del Paese è il segnale che gli italiani ci chiedono per dimostrare che siamo una forza politica all’altezza della situazione complessa nella quale ci troviamo e capace di governare».
Per anni avete presentato ogni alleanza con la parola inciucio, è per questo che siete così spaventati da quella parola e parlate di contratto? Ci spiega la differenza?
«Le alleanze per anni sono state il mettersi insieme per autoconservarsi e autotutelarsi.
Stiamo proponendo invece di mettere al centro solo ed esclusivamente l’interesse dei cittadini. Il contratto è una garanzia in questo senso: dentro ci mettiamo le cose da fare per le persone fuori dai palazzi, e non quelle dentro i palazzi. E quelle cose facciamo».
Cosa ritiene irrinunciabile in questo contratto?
«Mi interessa mettere al centro le risposte più urgenti alle grandi emergenze del Paese, le stesse che ho ascoltato mille volte anche durante il lungo tour che ho fatto in campagna elettorale: lotta alla povertà e alla corruzione, il lavoro, le pensioni, un fisco più leggero e una pubblica amministrazione che agevola e non ostacola i cittadini e le imprese. E poi sostegno alle famiglie e naturalmente lotta agli sprechi e ai privilegi della politica».
Il reddito di cittadinanza è diventato più genericamente “misure contro la povertà”.
Avete rinunciato?
«Il reddito di cittadinanza tiene insieme strumenti per la lotta alla povertà, ma anche per la lotta alla disoccupazione e per rimettere in moto il lavoro, partendo dalla riforma dei centri per l’impiego».
Ha parlato di un contrasto non personale, ma politico, con Forza Italia. Accettereste i suoi voti se Berlusconi facesse un passo indietro?
«Forza Italia è Berlusconi. E Berlusconi rappresenta il passato.
Poteva cambiare l’Italia e non lo ha fatto. A noi non interessa rimanere fermi o guardare indietro, vogliamo guardare al futuro».
E però Berlusconi, Salvini e Meloni andranno uniti alle consultazioni. Negando quel che lei ha detto davanti al capo dello Stato, che non esiste un centrodestra unito.
«Salvini sta scegliendo la restaurazione invece della rivoluzione. Il segretario della Lega in questo modo sta chiudendo tutto il centrodestra nell’angolo. E rischia di condannarsi all’irrilevanza».Cosa apprezza di Salvini?
«Ha dimostrato di saper mantenere la parola data, ora vediamo se avrà la forza di dimostrare la sua autonomia politica da Berlusconi».
Lei dice di sentirsi legittimato da 11 milioni di elettori e di aver diritto alla premiership, ma non ha i numeri in Parlamento. Il Quirinale ha detto chiaramente che non ci sono vincitori.
«In Germania la Merkel governa con il 32%. In Francia Macron è il presidente con il 24% al primo turno. Insomma è evidente che in Italia si sono inventati una legge elettorale che doveva metterci in difficoltà. Ma resta un fatto: siamo la prima forza politica e quasi doppiamo la seconda. Cioè, gli elettori hanno dato un segnale fortissimo. Uno tsunami, avremmo detto qualche anno fa. Questo urlo di cambiamento va assolutamente ascoltato».
Se l’unica strada per andare a un governo fosse un suo passo indietro?
«Questo Paese ha avuto tantissimi presidenti del Consiglio che hanno preso zero voti dagli italiani. Ora c’è un candidato premier che ne prende 11 milioni e la prima cosa che si chiede è che si faccia da parte?».
Il governatore della Liguria Giovanni Toti dice che serve un “accordo minimo”. Ritiene possibile un governo a tempo?
«Non risolverebbe nulla».
Si è detto che il limite del secondo mandato per i parlamentari M5S non sarà applicato se la legislatura durerà poco. È così?
«Io non credo che si tornerà alle urne a breve, il tema non è all’ordine del giorno».
Il premier Paolo Gentiloni ha rimandato la presentazione del Documento di programmazione economica e finanziaria.
Immagini di essere a Palazzo Chigi: cosa c’è nel Def di Di Maio?
«Misure per rilanciare una crescita economica sostenibile, rispettosa del benessere sociale dei cittadini, ma tenendo il rapporto deficit pil all’1,5%».
Salvini propone di togliere le sanzioni alla Russia. È d’accordo?
«Ora è il momento in cui tutti sentiamo una responsabilità più grande. Sono certo che le posizioni di tutti potranno essere volte alla cooperazione tra nazioni su ogni decisione».
Somiglia a più a no. E cosa pensa dei dazi cari a Trump e ventilati anche dalla Lega?
«Il protezionismo ideologico non è la soluzione e non ci interessa, ma qualche intervento selettivo e temporaneo può servire per proteggere lavoratori e imprese dai costi della globalizzazione. Ci muoveremo con pragmatismo a seconda del contesto internazionale».
Nell’ottica della democrazia diretta, perché non far decidere agli iscritti sul blog con chi stringere il patto di governo?
«Per tutta la campagna elettorale ho detto che se non avessimo avuto i numeri per governare da soli avrei fatto appello a tutte le altre forze politiche per parlare di temi e così ho fatto».
Davide Casaleggio nega conflitti di interessi, ma voi siete legati per statuto praticamente immodificabile all’Associazione Rousseau. Quell’associazione è nelle mani del capo di una società privata che persegue i suoi interessi, anche commerciali. E nessuno ha eletto Casaleggio, che ricopre nel Movimento una posizione centrale e non contendibile.
Come fa a dire che non c’è conflitto?
«Davide Casaleggio non assume decisioni politiche».
Ma lei si consulta con lui anche su quelle, o no?
«Assolutamente no».
Con le nuove regole lei può decidere tutto, anche sulla guida dei gruppi parlamentari. Siete passati dall’uno vale uno all’uno vale tutti?
«Non è così. Semplicemente, alcune decisioni spettano al capo politico».
Dopo questo primo giro di consultazioni, vede la possibilità di un ritorno al voto più o meno probabile?
«Il M5S non avrebbe nulla da perdere se ora si tornasse a votare, anzi. Ma noi vogliamo dare un governo a questo Paese».