Repubblica 7.4.18
L’iniziativa del re-sacerdote di Benin City
L’editto annulla il ricatto voodoo “ Libere in Italia le schiave nigeriane”
di Alessandra Ziniti
ROMA
I video corrono di telefonino in telefonino. Chi non crede alle notizie
che arrivano da Benin City può vederlo e sentirlo Oba Eware II mentre,
davanti ad una platea di sacerdoti in rosso e di madri e nonne
esultanti, pronuncia il solenne editto di annullamento di ogni
giuramento dei riti voodoo e una potente fatwa contro chi gestisce la
tratta delle donne nigeriane.
Libere, sono tutte libere dal
ricatto che le aveva rese schiave del sesso nelle strade e nelle case
d’Italia e d’Europa. Libere le ragazze arrivate convinte di fare le
babysitter o le parrucchiere e finite invece nel giro miliardario della
prostituzione per pagare il debito contratto per il viaggio, e libere
persino le “maman”, le più grandi, che alla fine hanno accettato di
trasformarsi da sfruttate in sfruttatrici e che adesso temono di
incorrere nella maledizione del re-sacerdote.
A centinaia, nelle
ultime settimane, stanno scappando dalle case in cui, sotto il ricatto
del rito voodoo, sono costrette a prostituirsi, cercando aiuto e
assistenza nelle tante associazioni che lavorano a difesa delle donne
vittime di tratta.
Sempre di più, sempre più giovani, sempre più
schiave. E ora in fuga dai loro aguzzini che non hanno più in mano la
formidabile arma di una inossidabile credenza religiosa per alimentare
il loro lucroso business.
«È una svolta storica, sta succedendo
una cosa importantissima in Italia così come in molte altre città
d’Europa — racconta da Londra Esohe Aghatise, presidente della
associazione Iroko di Torino che fa parte della task force messa su dal
re di Benin City nello stato di Edo da cui proviene il 95 per cento
delle vittima di tratta — Da giorni siamo subissati da telefonate di
ragazze, molte delle quali minorenni, che ci chiedono aiuto e
assistenza. La maggior parte sono in fuga, altre sono state cacciate
dalle case in cui venivano tenute prigioniere per prostituirsi e adesso
non sanno dove andare. Chi può trova ospitalità temporanea in casa di
amiche, ma sono tante e non c’è posto per tutte e allora si arrangiano a
dormire in strada o nelle stazioni. Noi facciamo quel che possiamo ma
non abbiamo né risorse né posti a disposizione per rispondere a tutte le
richieste che ci stanno arrivando».
Il passaparola corre velocissimo.
I
volontari delle associazioni ne trovano ogni sera decine nei loro giri
notturni nelle stazioni, nei parchi, sotto i portici dei centri storici.
Disorientate e impaurite da una libertà a cui avevano ormai rinunciato,
senza documenti e senza alcuna idea di cosa fare. Le più coraggiose,
temendo di essere raggiunte e riacciuffate dai connazionali che
gestiscono un giro d’affari internazionale da trenta miliardi di dollari
l’anno, si sono presentate in uffici di polizia per denunciare
ottenendo la protezione prevista dalla legge.
Ma sono ancora
poche. «Noi stiamo spiegando a tutte che possono denunciare chi le ha
sfruttate — dice ancora Esohe Aghatise — ma non sono molte quelle che si
sono convinte a farlo. Hanno paura. Ma questa è una paura che si può
vincere.
Nulla a che fare con l’enorme pressione psicologica che
esercita su di loro il rito a cui sono state sottoposte prima di partire
( il taglio di unghia, capelli e peli che vengono uniti a foto dei
familiari e consegnati ad una sorta di santone), che è indissolubile, e
che fa sì che non ci sia bisogno di nessun controllo fisico per tenerle
legate ai trafficanti».
Da 20.000 a 50.000 euro. A tanto ammonta
il debito che le ragazze ( la cui età nell’ultimo anno si è abbassata
fino ai 13 anni) portate in Italia sono chiamate a restituire
prostituendosi fino a dieci ore al giorno con prestazioni sessuali
pagate anche solo 20 euro. Un debito adesso azzerato dall’editto del
re-sacerdote, già ambasciatore nigeriano in Italia e Svezia, che con la
sua iniziativa storica ha eliminato il ricatto su cui si basa il
traffico che negli ultimi tre anni ha fatto segnare un aumento del 600
per cento degli sbarchi di ragazze nigeriane in Italia, più di 15.000
solo l’anno scorso. Un numero che l’editto sembra destinato ad abbassare
drasticamente. Di più: le ragazze adesso, dopo aver provato sulla loro
pelle qual era il vero destino riservato loro in Europa, vogliono
tornare a casa. «Oba Eware II — spiega ancora la presidente
dell’Associazione Iroko — sta favorendo i rimpatri. Con le risorse che
ha a disposizione ha promesso un sussidio di tre mesi, l’ospitalità in
comunità, corsi di formazione e avviamento al lavoro. Noi siamo qui per
dare appoggio a chi vuole rientrare in Nigeria volontariamente.
Purtroppo non abbiamo mezzi e per questo facciamo un appello al governo italiano perché ci aiuti.
Sarebbe anche nell’interesse dell’Italia aiutare chi vuole tornare a casa in modo dignitoso».