sabato 7 aprile 2018

Repubblica 7.4.18
A Gaza altro venerdì di sangue. L’Anp invoca l’Onu e l’Europa
Morti 7 palestinesi. Israele: stop infiltrazioni. Abu Mazen: uccisioni contro protesta pacifica
di Marco Ansaldo


ISTANBUL Copertoni bruciati per alzare alte colonne di fumo e specchi rifrangenti per confondere la visuale. Mezzi tutto sommato artigianali, usati nel tentativo di nascondersi dal mirino dei soldati israeliani, nel secondo venerdì di protesta per ricordare il cosiddetto “Giorno della Catastrofe”, i 70 anni della creazione dello Stato ebraico che cadranno il 18 maggio. Strumenti dunque rudimentali, incapaci di impedire nuovi morti sulla Striscia di Gaza: sette soltanto ieri, contro i 21 della scorsa settimana.
Una strage annunciata. Vista la volontà dei palestinesi di Gaza – e del movimento Hamas – di proseguire la protesta a tutti i costi, «poiché non abbiamo nient’altro da perdere se non la nostra vita » , come proclamavano alcuni. E constatata dall’altra parte la determinazione delle Forze di Difesa israeliane a non cedere di un punto contro i dimostranti che si avvicinano alla barriera di divisione fra la Striscia e Israele, brandendo sassi e lanciando bottiglie molotov.
Dopo la consueta preghiera musulmana del Venerdì si aspettava perciò soltanto il via ai disordini. Scattati puntualmente. Poi, il bollettino dei caduti e dei feriti veniva aggiornato di continuo, dagli ospedali o dai media palestinesi e israeliani. Un vero stillicidio: prima due morti, poi tre, quindi cinque, infine sei e in ultimo sette. Oltre mille i feriti, in tutta la Striscia - dalla stessa Gaza City a Rafah, dal campo profughi di al Bureji a Khan Younis - dove già la scorsa settimana i focolai organizzati erano cinque, distribuiti lungo il territorio chiuso dai 65 chilometri di recinzione. Fra le vittime anche un membro del braccio armato di Hamas.
In serata un portavoce militare israeliano diceva che sono stati sventati tentativi di condurre « attacchi terroristici attraverso il lancio di ordigni esplosivi e di molotov » , e che « i nostri soldati hanno impedito le infiltrazioni » . Hamas, invece, che governa Gaza, annunciava la prossima vendetta « colpendo in profondità il cuore degli insediamenti » . Il presidente palestinese Abu Mazen ha condannato « le uccisioni e la repressione svolte dalle forze di occupazione israeliane a fronte della manifestazione di massa pacifica » . Da Ramallah un comunicato della presidenza ha infine chiesto all’Unione europea, all’Onu e alla Lega Araba « di fermare questa brutale uccisione e volontaria dell’esercito di occupazione, a fronte di innocenti e indifesi che sono andati in una marcia pacifica per difendere il loro diritto di vivere».
Difficile che tutto questo ora si fermi, nonostante l’alto tributo di sangue. Le due parti sono destinate a proseguire ognuna la propria battaglia, senza alcun segno di compromesso. Al mattino, prima che il grosso dei manifestanti ( circa 20 mila) per la ‘ Marcia per il ritorno’ dei profughi palestinesi in ricordo del 1948 si riversasse sulla barriera, inviti alla calma erano arrivati da tutto il mondo: dall’inviato del presidente americano Donald Trump in Medio Oriente, Jason Greenblatt, dall’Unione europea, dal vicino Egitto. Era poi arrivata anche la notizia della morte del ventunesimo dimostrante tra i feriti del venerdì precedente. Un corrispondente del portale Middle East Eye presente nella Striscia riferiva che le forze israeliane prima di aprire il fuoco avevano chiesto ai giornalisti, tramite altoparlanti, di evacuare l’area. Infine il copione è stato rispettato, come purtroppo ci si attendeva, anche se con entità lievemente inferiori rispetto al primo confronto. Tutto, adesso, fa pensare a un’escalation. La Marcia culminerà il prossimo 15 maggio, e molto sangue potrà ancora scorrere fino ad allora.