giovedì 5 aprile 2018

Repubblica 5.4.18
E l’aspirante premier rivaluta i ministri pd
di Alessandra Longo


Insomma, nel Pd non sono «tutti uguali». Luigi Di Maio lo dice a Di martedì e fa anche i nomi di quelli che si salvano e sono oggetto, bontà sua, di «apprezzamenti»: Martina, Minniti, Franceschini. Facevano così i democristiani, strateghi del doppio forno. Michele Anzaldi, non incluso nella lista dei “promossi” si pone una domanda e si risponde: «Come mai Di Maio dice queste cose ora che ha bisogno dei nostri voti per fare il suo governo, mentre per l’intera legislatura i Cinque Stelle hanno sempre votato contro tutti i nostri provvedimenti, ricoprendoci di insulti?». Già, come mai? Forse perché l’aspirante premier insinua Anzaldi - «è pronto a inventare qualsiasi balla pur di arrivare a Palazzo Chigi».
Se Maurizio Martina piace tanto (o un po’) perché il gruppo M5S del Senato ha tentato di sfiduciarlo nel 2016 e nel 2017 il suo operato su «problemi di stalle e allevatori» veniva definito «negativo e ininfluente»? “Giggino” ha cambiato idea? Non pensa più quello che diceva meno di due mesi fa quando definiva il Pd «impresentabile per sua stessa natura, un partito che ha preso soldi da Buzzi e da Mafia capitale per le elezioni?». E Minniti poi. Oggi Di Maio ammicca, ieri, cioè nel giugno del 2017, menava il ministro dell’Interno senza il guanto: «Gioca a fare lo sceriffo di destra nell’ennesimo governo di sinistra nato in provetta, che in Libia ha registrato un flop clamoroso». Altro che gli «apprezzamenti» evocati nello studio di Floris. «Sulla questione libica - ricorda Anzaldi - Di Maio accusava Minniti di aver fatto accordi con le organizzazioni criminali».
All’inizio fu il «Pdmenoelle» di Grillo, l’appello delle Politiche 2018 è stato: «Né con il Pd né con Forza Italia. Votate contro gli inciucisti!». Cosa non si fa, adesso, per le trattative. Persino Danilo Toninelli, capogruppo al Senato, forse vede Marco Minniti con altri occhi. Il passato è passato. Poco importa se gli rivolgeva la parola così nell’aula di Palazzo Madama: «Ministro Minniti, lei sta prendendo in giro gli italiani e calpestando la democrazia». Accusa relativa alla gestione del Viminale nell’organizzazione delle elezioni.
Il Pd: brutta bestia per i Cinque Stelle, «un punto di riferimento del crimine», diceva addirittura Alessandro Di Battista il 5 febbraio 2018. Mica dieci anni fa. Però Di Maio deve tenere aperti i contatti o perlomeno far finta di farlo.
E allora musica di violino anche per Dario Franceschini, lo stesso che un corteo di grillini assatanati, interpreti fedeli della linea, avvistò in un ristorante il 21 aprile del 2013. E giù insulti: «Ah li mortacci tua»; «Che te vada per traverso»; «Traditore»; «Venduto»; «Buffone»; «Vergogna». Lo stesso Dario Franceschini che faceva venire l’orticaria proprio a Di Maio, un anno fa: «Al ministro Franceschini non gliene frega niente della cultura, gli interessa solo far quadrare i bilanci».