Repubblica 5.4.18
Intervista a Vladimiro Zagrebelsky
“L’aiuto al suicidio non può essere reato ma va rispettata la scelta del governo”
Data la delicatezza del tema, più ampio è il contraddittorio, più la decisione della Consulta sarà consapevole
Istigare una persona a porre fine alla propria vita è del tutto diverso dall’agevolare qualcuno già determinato a farlo
di Liana Milella
Il
governo ha dato mandato all’Avvocatura dello Stato di “difendere”
l’articolo 580 del codice penale, impugnato dalla Corte d’assise di
Milano davanti alla Consulta nel processo per il suicidio assistito di
dj Fabo e l’accusa di istigazione al suicidio contro il radicale Marco
Cappato. In passato su temi etici è accaduto che il governo scegliesse
di non costituirsi. Ma per il Guardasigilli Andrea Orlando, in questo
caso farlo era necessario per evitare il rischio di “azzoppare”
l’articolo 580 anche nella parte in cui punisce un aiuto al suicidio che
diventa una sorta di vera e propria spinta a uccidersi
ROMA
«Quella norma è incostituzionale, ma più voci davanti alla Corte,
compresa quella del governo, potranno rendere la decisione dei giudici
più consapevole». È questa l’opinione di Vladimiro Zagrebelsky, ex
giudice della Corte di Strasburgo.
Gentiloni dà all’Avvocatura la
difesa dell’articolo 580 del codice penale, incostituzionale per i
giudici di Milano nel caso Cappato-Dj Fabo laddove punisce anche l’aiuto
al suicidio.
Era necessario farlo?
«L’intervento del
governo è una facoltà, non un obbligo. Di solito il presidente del
Consiglio interviene per sostenere l’infondatezza della questione di
costituzionalità o, per una ragione o per l’altra, la sua
inammissibilità. In tal modo il governo difende il Parlamento
legislatore e discute le conseguenze di un’eventuale dichiarazione di
incostituzionalità, che potrebbero richiedere una propria iniziativa
legislativa».
Il governo interviene sempre contro?
«Vi è
qualche caso in cui il governo è intervenuto sostenendo che la questione
era fondata e la norma incostituzionale. In altri il governo non è
intervenuto probabilmente perché la fondatezza della questione era
evidente, senza conseguenze di sistema».
Sui temi etici però, come la procreazione e le adozioni, si contano casi in cui il governo non ha mosso l’Avvocatura.
«Non
conosco le ragioni che hanno indotto il governo a intervenire, ma ciò
che importa è il contenuto del suo intervento. In linea generale direi
che la delicatezza della questione rende comunque utile che alla Corte
siano rappresentate tutte le argomentazioni possibili.
Più ampio è il contraddittorio, più consapevole risulterà la decisione».
Il
governo, facendo una scelta politica “di sinistra”, coerente con la
legge sul biotestamento, non poteva aspettare le decisioni della
Consulta?
«La legge sul consenso informato e le disposizioni
anticipate di trattamento va certo nel senso di valorizzare l’autonomia
della persona, anche in ordine alla fine della vita. Ma direttamente non
riguarda il caso del suicidio assistito. E insisto nel dire che sarà
importante conoscere che cosa sosterrà l’Avvocatura, per conto del
governo, davanti alla Corte».
Il ministero della Giustizia ci
tiene a precisare che la decisione «non è contro Cappato» e lascia
intendere di essere favorevole a un’interpretazione ampia della norma
che non consideri reato l’aiuto fornito a Fabo. Proprio la direzione in
cui sembra andare la stessa Avvocatura.
«Appunto.
Indipendentemente dalle conseguenze che la sentenza della Corte avrà sul
processo a Cappato, quanto il ministero fa sapere dimostra che, secondo
il governo, una via diversa da quella dell’eccezione di
costituzionalità era possibile. Il giudice avrebbe potuto attribuire
all’articolo 580 del codice penale un significato restrittivo rispetto
alla sua portata letterale, così da limitare fortemente l’ambito
dell’amplissima formula “ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”. Se
questa possibilità esistesse utilizzando gli ordinari strumenti
interpretativi per adeguarsi ai principi costituzionali, il giudice
sarebbe tenuto a tentarla. Ma mi pare che la Corte di assise di Milano
il tentativo l’abbia fatto, arrivando a una conclusione negativa, che io
condivido. A mio avviso correttamente quei giudici hanno sollevato la
questione di costituzionalità».
Da giurista come la pensa sul 580? Copre il caso Cappato?
«La
questione davanti alla Corte riguarda l’articolo 580 del codice penale
nella parte in cui punisce chi agevola il suicidio di chi già abbia
deciso di por fine alla propria vita, equiparandolo a chi determina
altri al suicidio. Due ipotesi del tutto diverse: la prima non incide
sulla volontà libera di chi voglia uccidersi, mentre la seconda
interviene proprio sull’autonomia della persona, spingendola al
suicidio. Questo è un primo motivo di incostituzionalità, per la
irragionevolezza del trattare allo stesso modo due situazioni
radicalmente diverse. Si può aggiungere che l’ipotesi di punire (con
grave pena) l’aiuto al suicidio anche nel caso in cui la persona non è
fisicamente in grado di suicidarsi senza l’aiuto altrui crea una
diseguaglianza ingiustificata a danno di chi si trova nelle condizioni
di maggior debolezza, impossibilitato persino a suicidarsi».
E la Consulta come potrebbe cavarsela?
«Penso
che la previsione dell’aiuto al suicidio come delitto sia
incostituzionale, per il rispetto che la Costituzione e la Convenzione
europea dei diritti umani assegnano all’autonomia e alla dignità della
persona nella gestione della fine della propria vita. È inammissibile
punire chi aiuta taluno a compiere legittimamente un atto di libertà. Un
problema per la Corte sorgerebbe se ritenesse di definire casi in cui
l’aiuto al suicidio fosse lecito (fine vita, sofferenze non affrontabili
con terapie), mantenendo la punibilità per i casi diversi. In ogni caso
è assurdo assimilare l’aiuto all’istigazione al suicidio».