Repubblica 4.4.18
Il governo e la legge
Sul suicidio nessuna confusione
di Chiara Saraceno
Istigare”
al suicidio e “aiutare” chi, gravemente malato, vuole fortemente porre
fine alle proprie sofferenze considerando la propria vita ormai
intollerabile, non sono la stessa cosa. Il primo è un comportamento
odioso, violento, da prevenire e punire, tanto più quando è esplicito,
intenzionale, e non l’esito di atti di bullismo stupidi e cattivi, ma
che non miravano a far suicidare la vittima. Il secondo è un atto di
amicizia e amore, una forma di accompagnamento all’atto ultimo di
libertà di una persona che si rispetta, di cui si accettano le decisioni
anche quando non le si condividono, prendendosi pure la responsabilità
di fare in modo che si compiano secondo le intenzioni di chi, appunto,
vuole porre fine alla propria vita ma non può farlo da solo a motivo
proprio delle condizioni che gli hanno reso intollerabile vivere.
Riguarda chi fornisce le informazioni necessarie, accompagna nei luoghi
in cui si aiuta a morire, aiuta nelle diverse fasi la persona non più in
grado di fare da sé, standole vicino fino all’ultimo, non lasciandola
sola.
È comprensibile che il governo italiano voglia evitare che
venga dichiarata incostituzionale la norma che punisce l’istigazione al
suicidio, una norma che esiste in molti Paesi e che è posta a difesa di
soggetti vulnerabili.
La formulazione dell’articolo 580 del Codice
penale messa in discussione dal ricorso del Tribunale di Milano,
tuttavia, non si limita a condannare l’istigazione. Condanna
esplicitamente anche l’aiuto. Definisce, infatti, punibile «chiunque
determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio,
ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione». Non va, inoltre,
dimenticato che troppo a lungo, e con molta mala fede, anche da parte di
esponenti politici e da maggioranze parlamentari (che sono tornate) si è
fatta confusione tra interruzione delle cure, omicidio, aiuto al
suicidio e istigazione al suicidio (si pensi al caso Englaro). È quindi
comprensibile che chi si è battuto a lungo perché venisse legittimato il
diritto a sospendere le cure e ora si batte perché sia consentito il
suicidio assistito, si preoccupi della costituzione in giudizio davanti
alla Corte costituzionale da parte dello Stato in difesa di quella
norma, dove istigazione e aiuto sembrano confusi.
Se il governo
vuole davvero limitare la punibilità alla istigazione, l’Avvocatura
dello Stato dovrà essere chiara nella sua argomentazione difensiva. E la
Corte costituzionale, sia che dichiari l’intero articolo
incostituzionale sia che opti per una cosiddetta sentenza
interpretativa, dovrà chiarire in modo rigoroso che altro è istigare al
suicidio tramite l’uso violento del disprezzo, dell’insulto, della
persecuzione quotidiana, altro accompagnare amorevolmente e con rispetto
chi, malato e non in grado di dare corso alla propria volontà, decide
di porre fine alla propria vita. Anche, se necessario, aiutandolo fino
in fondo.