Corriere 4.4.18
E Boschi firma il ricorso «Ma tuteliamo chi aiuta i malati terminali»
di Fiorenza Sarzanini
Orlando: «Nessun attacco all’esponente dei Radicali»
ROMA
Porta la firma del sottosegretario alla Presidenza Maria Elena Boschi
l’atto depositato ieri alla Consulta a nome del governo nel processo per
la morte di Dj Fabo. È la costituzione di parte civile che mira a
difendere la norma di istigazione al suicidio messa in discussione dalla
Corte d’Assise di Milano che sta processando Marco Cappato, ma le
indiscrezioni assicurano che siano stati gli esperti giuridici di via
Arenula a sollecitare Palazzo Chigi a entrare ufficialmente nel giudizio
costituzionale. E infatti proprio da quel ministero ieri si è deciso di
chiarire che «certamente non si tratta di un’iniziativa contro Cappato,
anzi la scelta effettuata mira a difendere le iniziative di chi aiuta
le persone già determinate a porre fine alla propria vita». Il titolare
della Giustizia Andrea Orlando avrebbe affrontato la questione nei
giorni scorsi con il premier Paolo Gentiloni e alla fine si è deciso di
procedere nell’ambito dei poteri concessi al governo per il disbrigo
degli affari correnti.
Associazioni «pro vita»
Un affare che
però sta provocando polemiche roventi, perché da tempo numerose
associazioni e in particolare quella dedicata a Luca Coscioni, si erano
appellate al governo affinché rimanesse fuori dalla vicenda. E dunque
che compiesse un passo politico schierandosi per la legittimità
dell’articolo 580 del codice penale. La norma punisce con la reclusione
da cinque a dodici anni «chiunque determina altri al suicidio o rafforza
l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo
l’esecuzione». Una disposizione «superata» per chi da anni si batte per
difendere il diritto all’eutanasia e per questo sono state raccolte
oltre 15 mila firme proprio per sollecitare Palazzo Chigi a non
intromettersi al fine di tutelare «i principi di libertà e
autodeterminazione riconosciuti dalla Costituzione italiana e dalla
Convenzione europea dei diritti umani». L’appello a Gentiloni
«#ConCappato #stop580» è stato firmato da numerosi intellettuali,
professori universitari, ma anche tantissima gente comune. È però
evidentemente caduto nel vuoto. Oltre all’avvocatura dello Stato si sono
schierate per la permanenza in vigore del reato anche tre associazioni
«pro vita» e proprio questo acuisce il livello di critica contro la
scelta dell’esecutivo.
I tre motivi
A firmare il ricorso è
l’avvocato Gabriella Palmieri che ha agito sulla base di una «determina»
firmata dal sottosegretario Boschi a sostegno della normativa in
vigore. Sono tre i punti evidenziati nell’atto. Il primo riguarda
l’infondatezza della questione sollevata dai giudici milanesi perché, si
sottolinea, «l’articolo 580 si inserisce in un quadro sistemico di
ragionevolezza e logicità». Il secondo punta sull’inammissibilità
evidenziando come «il giudice di merito non ha percorso una strada
costituzionalmente orientata». Infine c’è l’irrilevanza della questione
«che poteva essere risolta senza far intervenire la Consulta». Il
governo si costituisce — questa è la spiegazione fornita dal ministero
della Giustizia — «per evitare che la dichiarazione di
incostituzionalità secca dell’articolo 580 potrebbe lasciare impunite
condotte che nulla hanno a che fare con la tematica del rispetto delle
volontà dei malati terminali». La spiegazione che viene fornita prende
ad esempio le «condotte di chi istiga i ragazzi o comunque i soggetti
deboli a compiere azioni che possono provocarne la morte, ad esempio con
giochi spericolati o via web». Una posizione che però non basta a
placare le polemiche anche tenendo conto che l’istigazione al suicidio è
uno dei reati più difficili da dimostrare.