La Repubbliica 4.4.18
Carlo I d’Inghilterra
Il re che a tutti i costi volle il suo Mantegna
di Francesca Cappelletti
Se
l’immagine del sovrano fosse veramente da ricercare negli spazi più
selezionati della sua raccolta, come scrivevano i trattatisti italiani
nel Seicento, il ritratto di Carlo I, il re d’Inghilterra mandato al
patibolo dal suo parlamento nel 1649, sarebbe davvero quello di un
amante della pittura italiana del Rinascimento.
Nella sua
collezione, in gran parte esposta nelle sale e gallerie del palazzo di
Whitehall, trionfavano i quadri di Tiziano e Correggio, mentre
l’eccezionale serie dei Trionfi di Mantegna era probabilmente collocata
nel palazzo di Hampton Court già alla fine del 1630, poco dopo
l’avventuroso arrivo in Inghilterra. Nel cuore degli appartamenti reali
trovava posto il più italiano degli ambienti, una stanza riservata, il
cui allestimento con piccole sculture, medaglie e dipinti di piccole
dimensioni, libri e oggetti rari sembra ricalcare il modello dello
studiolo umanistico.
Anche in assenza di piante e progetti
architettonici, nel catalogo della bella mostra che alla Royal Academy
di Londra è dedicata al sovrano (Charles I King and Collector, fino al
15 aprile, a cura di Per Rumberg e David Shawe-Taylor) l’idea è stata
attribuita a Inigo Jones, l’architetto che nel 1613 si recò in Italia e
soggiornò a Roma. Nel cabinet si trovavano la Morte della Vergine di
Andrea Mantegna, oggi al Prado, il San Giorgio e il drago di Raffaello,
ora alla National Gallery di Washington, il San Giovannino di Leonardo
da Vinci adesso al Louvre, insieme a dipinti di dimensioni ancora più
piccole, concepiti per essere esposti in luoghi di ravvicinata
contemplazione o a decorare preziosi scrigni, come la singolarissima
Strega di Adam Elsheimer o un Paesaggio di Paul Bril di incantevole
trasparenza atmosferica, entrambi ancora nelle collezioni della regina.
Un tratto specifico di questo ambiente era la presenza di miniature, un
genere che conosce una grande fortuna nell’Inghilterra di questo
periodo, grazie a artisti come Peter Oliver, Nicholas Hilliard, Edward
Norgate, protetti anche da Arundel, non solo abili ritrattisti ma anche
copisti, per il sovrano, delle opere più importanti nella sua
collezione. Carlo I amava tenere sempre vicini le immagini di Venere
addormentata, di Venere Mercurio e Amore, i dipinti di Correggio
provenienti da Mantova.
Lord Arundel e Lord Buckingham,
consigliere del giovane Carlo I, furono i primi grandi collezionisti
appassionati di arte italiana in Inghilterra e, per quanto riguarda
Arundel, anche i grandi estimatori dei moderni ritrattisti nordici, da
Rubens a van Dyck. I due pittori, nonostante il re rimanga più
interessato agli artisti del secolo precedente, sono i protagonisti a
corte, non solo per il ritratto.
La biografia di Carlo I si snoda
fra viaggi di Stato e passioni artistiche, fra difficili scelte
politiche e colpi di fulmine per opere e oggetti del passato: è alla
corte di Madrid, dove trascorre qualche mese nel 1623, che il futuro re
scopre Tiziano e l’arte italiana. La corte di Madrid si rivela
fondamentale, qui Carlo acquisisce i primi dipinti di Tiziano e si
appassiona ai grandi pittori del Rinascimento. Tornato in patria e una
volta sposata, nel 1625, Henrietta Maria, Carlo commissiona a suoi
emissari in Italia l’acquisto di opere, senza entrare nel merito della
scelta dei singoli pezzi. Nicholas Lanier, musicista di corte inviato in
Italia nel 1625, è introdotto alle collezioni Gonzaga dal mercante
fiammingo Daniel Nijs,che faceva base a Venezia. Fra il 1626 e il 1627,
Nijs, approfittando della crisi del ducato, della morte improvvisa di
Ferdinando II, committente attento e certamente poco incline a svendere
le collezioni familiari, riesce nell’impresa di trasportare in
Inghilterra alcuni dei capolavori provenienti dai camerini, come le
allegorie di Correggio. In questi primi contratti e dolorose alienazioni
non erano certo compresi i Trionfi di Mantegna. Le nove tele, eseguite
fra gli ultimi decenni del ’400 e il 1506, rappresentanti il Trionfo di
Cesare con il ricorso a un vasto repertorio di fonti letterarie e
iconografiche e forse anche al dibattito erudito sul ruolo di Cesare nel
passaggio dalla repubblica all’impero romano, avevano un elevato
significato dinastico alla corte mantovana.
Significato che si
attutisce con le vicissitudini del ducato: anche Vincenzo II muore
all’improvviso, a Natale del 1627, e Carlo Gonzaga Nevers, del ramo
francese della famiglia, diventa un interlocutore decisamente più
arrendevole per Nijs, che riesce a includere in un secondo, incredibile
lotto di opere, molti pezzi antichi e i capolavori di Mantegna.
Dopo
l’esecuzione di Carlo I, i suoi beni vennero venduti in una colossale
asta nota come il Commonwealth Sale, dalla quale si apprendono, a volte
con sorpresa, le quotazioni assegnate ai capolavori raccolti dal re: le
miniature erano senz’altro stimate in maniera superlativa, non troppo
lontane dalle valutazioni ricevute dagli originali ai quali si
ispiravano. Attraverso quella vendita, molte opere raggiunsero altre
corti, spesso di parenti del re appena decapitato, dopo qualche rapida
esitazione, acquistarono di buon grado le preziose spoglie di quel
ventennale regno. Arrivarono così a Parigi molti dei capolavori eseguiti
per i Gonzaga, insieme a opere come la Morte della Vergine di
Caravaggio, che Rubens aveva fatto acquistare a Roma e che Nijs aveva
condotto a Londra. Solo i Trionfi, valutati una cifra astronomica,
rimasero a Hampton Court, considerati, come i cartoni di Raffaello, non
espressione personale del gusto raffinato ed europeo di un sovrano
assoluto, ma proprietà inalienabile dello Stato.