Repubblica 4.4.18
Annullata l’intesa con l’Unhcr: “Grande rammarico”
“Chi si fida più ora?” È il triste risveglio dei profughi d’Israele
di Marco Ansaldo
TEL
AVIV «Bella Italia. Voglio venire » . Nella bettola chiamata
“Ristorante sudanese” davanti ai giardini di Neve Shanan, il quartiere
più povero a sud di Tel Aviv, gli avventori sono tutti d’accordo. Non ce
n’è uno che non sia scappato dal regime del presidente Omar al- Bashir,
condannato dalla Corte penale internazionale per crimini contro
l’umanità. Perciò quando l’altra sera la comunità africana si è riunita
davanti alla tv per l’annuncio del premier israeliano Benjamin Netanyahu
su un accordo con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, avente Roma
come destinazione con Berlino e Ottawa, applausi e abbracci si sono
sprecati. Il gelo è arrivato ieri mattina, quando nel sedersi a tavola,
Alena, fuggita da Khartoum, ha saputo prima della marcia indietro, poi
della cancellazione dell’intesa. « Ho ascoltato con attenzione i
commenti – guarda ora Netanyahu dire in tv, dove il premier è venuto ad
ascoltare nel quartiere accanto i residenti israeliani arrabbiati perché
il compromesso prevede che gli oltre 20 mila profughi non compresi
dall’intesa rimangano qui – ho riesaminato vantaggi e mancanze, e ho
deciso di annullare l’accordo». Alena non sa quasi più che dire. « Chi
si fida più ora? Un giorno ti dicono una cosa, il giorno dopo il
contrario. Il pensiero di poter ricevere dal governo un permesso di
lavoro, un impiego, e potermi così trasferire dalla stanza dove abito
con altre due donne, mi attirava. E anche quello di andare in Italia o
in Germania. Invece, tutto come prima».
Neve Shanan è il quartiere
più problematico di Tel Aviv: scritte in lingua tigrina, case spoglie,
saracinesche mezzo abbassate. I magazzini abbandonati sono stati
convertiti in chiese, frequentate dagli eritrei cristiani. Qui vivono i
15 mila migranti sudanesi ed eritrei che in gran parte avrebbero
lasciato Israele per Italia, Germania e Canada, secondo l’incauto
annuncio che Netanyahu ha dovuto rimangiarsi nel giro di poche ore,
attaccato dalla destra, dalla grande stampa, e travolto dal malcontento
dei residenti nei quartieri meridionali. Gli stessi che si è affrettato a
incontrare al mattino, rassicurandoli dopo la repentina inversione a U
scritta la notte sulla sua pagina Facebook.
Ma Nathaniel, migrante
eritreo seduto sullo spiazzo davanti alla stazione dei bus, ha un
dubbio: «Voglio sapere per iscritto se ci arresteranno o se ci
manderanno in Ruanda o Uganda per tornare da chi ci ha cacciato » .
Perché l’accordo iniziale – un pasticcio, come ora è evidente –
prevedeva che una parte dei profughi fosse riportata in Africa, ma in
zone più sicure rispetto ai regimi eritreo e sudanese. Ipotesi a cui si
sono ribellati non solo intellettuali come Grossman, Oz e Yehoshua, ma
pure i piloti della El Al, rifiutatisi di essere i conduttori di «una
deportazione».
Michael Teklit, 29 anni, eritreo, è arrivato qui
una decina di anni fa. « A febbraio il governo ci ha offerto 3.500
dollari e un biglietto aereo per una destinazione sicura. Poi
all’immigrazione ci è stato detto che avremmo dovuto scegliere fra
Ruanda o Uganda, oppure essere messi in prigione. Tanta gente ha perso
la speranza».
Nel vicino quartiere di Florentin, a ridosso di
Jaffa, i residenti israeliani si riuniscono dopo le proteste contro il
piano organizzate pure a Gerusalemme e a Haifa. Dice Arie, un uomo
massiccio i cui genitori venivano dalla Spagna e che si prepara a vedere
il match di Champions, Real Madrid- Juventus: « Qui entro cinque anni
butteranno giù tutto e saranno tirati su alberghi e nuove case. A Tel
Aviv circolano molti soldi, gli affari di giorno, i divertimenti la
sera. Niente sarà più come prima, presto anche questa gente non ci sarà
più».