il manifesto 4.4.18
Rivolta nel governo, Netanyahu cancella l’accordo con l’Unhcr
Israele.
Il premier ha fatto marcia indietro di fronte alle proteste nel governo
e tra gli abitanti delle periferie di Tel Aviv dove si concentrano i
richiedenti asilo
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Eritrei e sudanesi si sono presentati in catene, a petto nudo, senza
scarpe. Come gli schiavi. Però determinati a spezzarle quelle catene e a
non rassegnarsi alla deportazione “volontaria” o al carcere a tempo
indeterminato, le uniche possibilità che il governo israeliano aveva
offerto loro ad inizio anno. Una “offerta” che non è destinata a
migliorare dopo la clamorosa retromarcia fatta dal premier Netanyahu
che lunedì ha annunciato un accordo con l’Unhcr, per il ricollocamento
di 16 mila dei circa 38mila richiedenti asilo africani oggi in Israele,
per poi sospenderlo appena qualche ora dopo. Assieme ai dimostranti
eritrei e sudanesi ieri nelle strade di Tel Aviv c’erano decine di
attivisti che mostravano cartelli con la scritta ”Le vite umane non
sono in gioco”. «Netanyahu non può giocare con gli esseri umani» ha
ripetuto ai giornalisti Daniela Eliashar, che da mesi partecipa alle
proteste contro il piano di espulsioni del governo. «Ieri (lunedì)
eravamo in lacrime per la gioia e ora siamo in lacrime per la rabbia»,
ha commentato un’altra manifestante Veronika Cohen. La giornalista
Sima Kadmon di Yediot Ahronot ha calcolato in 6 ore e 45 minuti la
durata dell’accordo con l’Unhcr annunciato da Netanyahu. «Era una
decisione importante e coraggiosa ma è calpestata dagli stivali dei
contrasti nella destra», ha aggiunto.
Poche frasi che
descrivono bene i motivi del ripensamento di Netanyahu. A far cambiare
idea al primo ministro non sono state certo le reazioni di Germania e
Italia che, chiamate in causa da Netanyahu, hanno detto di non essere a
conoscenza di accordi con l’Unhcr per l’accoglimento dei richiedenti
asilo africani ora in Israele. Netanyahu ha dovuto fare i conti una
vera e propria insurrezione nella coalizione di estrema destra che
guida del 2015. A fare la voce grossa sono stati diversi esponenti del
suo partito, il Likud, e soprattutto i ministri Naftali Bennett e
Ayelet Shaked del partito nazionalista religioso Casa ebraica, ago
della bilancia della maggioranza. Contemporaneamente è scattata la
protesta degli abitanti dei degradati quartieri meridionali di Tel Aviv
che si sono sentiti “traditi” da Netanyahu. Per anni la destra li ha
aizzati contro i richiedenti asilo nella più classica delle guerre tra
poveri e quando il governo si era deciso a cacciare via gli africani il
premier ha annunciato un accordo con le tanto odiate Nazioni Unite che
prevedeva la regolarizzazione di 16mila “infiltrati”, “alieni”, come li
chiamano in Israele. Anche in questa occasione non ha mancato di far
sentire la sua voce Sheffi Paz del cosiddetto “Fronte di liberazione
del sud di Tel Aviv” creato per cacciare via i richiedenti asilo. Paz
era una pacifista negli anni Ottanta e Novanta e un’attivista dei
diritti degli omosessuali, ora passa gran parte del suo tempo a urlare,
davanti a telecamere e registratori, che Israele «deve liberarsi di un
pericolo (gli africani,ndr) che mette a rischio la sua esistenza e il
suo carattere ebraico».
Questo l’ha sempre pensato e proclamato
per anni anche Netanyahu. E infatti il premier, dopo il suo incontro
ieri con gli abitanti della periferia di Tel Aviv, ha subito recuperato
il tono agguerrito che lunedì aveva messo da parte per qualche ora.
«Ho ascoltato con attenzione i molti commenti, ho riesaminato i
vantaggi e le mancanze e ho deciso di annullare l’accordo», ha detto.
Più di tutto Netanyahu ha annunciato perentorio che «Malgrado le
limitazioni giuridiche e le crescenti difficoltà internazionali
continueremo ad agire con determinazione per ricorrere a tutte le
possibilità che abbiamo a disposizione per far uscire gli infiltrati dal
Paese». Parole che non lasciano alcun dubbio sulla politica del suo
governo nei confronti degli “infiltrati” a maggior ragione dopo la
figuraccia che ha fatto. Inutile l’appello dell’Onu a «riconsiderare»
l’annullamento dell’intesa sui migranti. «Crediamo nella necessità di
un accordo vantaggioso per tutti che possa giovare a Israele, alla
comunità internazionale e alle persone che hanno bisogno di asilo» ha
provato invano a spiegare William Spindler, il portavoce dell’Unhcr.
Netanyahu,
attaccato anche dall’opposizione laburista per l’indecisione mostrata,
ha rassicurato la sua opinione pubblica che «continuerà a cercare
altre soluzioni» in riferimento a un “Paese terzo” pronto ad accogliere
i richiedenti asilo che lasceranno “volontariamente” Israele. Al
momento questo Paese non c’è. Il Ruanda e l’Uguanda hanno fatto un
passo indietro e proprio questo, due giorni fa, aveva favorito l’intesa
tra Israele e l’Unhcr e aperto la strada al compromesso poi rinnegato
da Netanyahu.