sabato 28 aprile 2018

Repubblica 28.4.18
Werner Herzog “ Odio i fatti, amo i sogni e so che la vita è bella perché non è eterna”
Intervista di Jan Küveler


Allungare l’esistenza, come sperano i guru delle tecnologie?
Dovremmo sorbirci le stesse porcate per 400 anni
Internet è tutta fake news e porno, non possiamo cambiarla
Invece dovremmo batterci contro gli oceani di plastica

Un cineasta dev’essere come un ladro nella notte: lo ha detto Werner Herzog nel corso della nostra conversazione a Hong Kong, dove abbiamo parlato del cannibalismo su Internet, della vita eterna e dei suoi colloqui con Gorbaciov.
Lei sembra avere il dono magico di piegare la realtà alla sua drammaturgia. Un concetto di origini hegeliane: a chi gli chiedeva conto di alcune discrepanze tra sue teorie e realtà dei fatti, Hegel avrebbe risposto: “Tanto peggio per i fatti”.
«Ovviamente è solo una battuta, anche nelle intenzioni dell’autore.
Ma c’è una cosa che sarebbe bene non perdere mai di vista: non dobbiamo lasciarci condizionare solo dai fatti. Perché l’essere umano funziona al meglio sotto l’effetto di visioni, sogni, paure e così via».
Dall’esterno, lei dà un’impressione di straordinaria calma. Un po’ come un bruciatore a gas, che deve avere una certa stabilità per contenere le reazioni violente al suo interno. Un Werner Herzog calmissimo affinché un Klaus Kinski possa esplodere…
«Non sono in grado di descrivere me stesso. Ma ho notato spesso che altri mi vedono in modo contraddittorio, dato che alcuni dei miei personaggi sono anarchici, caotici, isterici, sull’orlo della follia; perciò si pensa che dovrebbe esserlo anche il regista, mentre io tendo alla calma, ai toni sommessi».
Una volta lei disse che l’uomo si riconosce soprattutto nelle situazioni estreme. È per questo che i suoi personaggi sono in genere sopra le righe?
«Certo, se si è interessati a ciò che ci fa essere come siamo, alla nostra condizione umana, non c‘è molto da scoprire su un personaggio ripreso mentre prepara i panni da mettere in lavatrice. Il cinema non può crescere su questo terreno».
Ma prenda ad esempio un autore come Marcel Proust: probabilmente sarebbe stato capace di dedicare anche cinque o sei pagine a una lavatrice.
«Può darsi, ma sempre attraverso la trasformazione operata dalla memoria. Per nostra fortuna i ricordi hanno vita propria, si configurano in maniera nuova e diversa; e in tal modo rendono sopportabile quella che è stata la nostra esistenza passata. Perché di fatto la natura è ben disposta nei nostri confronti, e tramuta i nostri ricordi indipendentemente da noi».
Ha appena detto che la natura è ben disposta verso di noi. Ma spesso lei non è tanto ottimista.
Nel suo film “Into the Inferno” ha detto la natura non ha interesse...
«...Per rettili deficienti ed esseri umani banali».
Pensa di potersi interessare a una grande realtà politica come questa della Cina per farne un film?
«Le idee e le analisi, comprese quelle politiche, funzionano in modo diverso dal cinema. Le idee sono idee, le storie sono storie. Un anno fa ho tenuto un workshop a Cuba. Ho proposto di immaginare un film nell’ambito di un contesto preciso. È intervenuto un giovane che veniva, credo, dall’Argentina.
Sembrava che avesse un progetto molto chiaro; parlava di una grande idea, del conflitto tra capitalismo e socialismo a Cuba. Gli ho detto: “Tutte queste sono idee. Puoi dirmi come vedi la prima scena del tuo film?”. È rimasto senza parole. In altri termini: le idee funzionano in modo diverso. La mia domanda — what’s your first shot?, com’è la tua prima inquadratura? — era una provocazione. Lo sviluppo della Cina, il ruolo che potrebbe avere Hong Kong… sono idee, concetti politici, non hanno nulla a che vedere col cinema».
Ma il suo film sulla nascita di Internet, “Lo and Behold”, visibile su Netflix, non è un tentativo in questo senso — quello di esporre una grande idea coi mezzi del cinema? Gli scrittori si dannano l’anima per dare espressione a temi come Internet o la crisi finanziaria.
«Sciocchezze. Sono tentativi destinati a fallire. Internet funziona secondo la propria natura: attraverso Instagram, i tweet e i pornofilm gratuiti da scaricare. Col sensazionalismo e le bufale più folli, che vengono a galla in brevissimo tempo. Un americano ha usato Internet per accusare i Clinton — sia Hillary che Bill — di far parte di una setta di pedofili dediti ai sacrifici rituali di bambini e al cannibalismo.
Nel giro di un’ora ha totalizzato due milioni di clic. È così che funziona».
Anche un film di Werner Herzog pubblicato su Netflix arriva presto a due milioni di clic.
«Sono cento milioni, non due. Cifre di un ordine al quale non siamo abituati — soprattutto nel cinema.
Di fatto, Internet sviluppa meccanismi e provoca stati d’eccitazione che ancora dobbiamo imparare a conoscere. Ma l’idea di fare di Internet il tema di un grande romanzo non ha senso, è destinata a fallire».
Crede che il mondo sarebbe migliore senza Internet?
«No. Allo stato attuale delle cose la nostra civiltà non può più farne a meno. Non sarebbe più possibile prenotare un posto in aereo in qualsiasi parte del mondo…».
In un docufilm del 1980 dal titolo “Werner Herzog isst seinen Schuh” (Werner Herzog mangia la sua scarpa) lei ha osservato che la nostra civiltà soffre della mancanza di immagini adeguate, e che crearle è compito dei cineasti. Cosa ne pensa oggi?
«Nulla di diverso».
E le ha create, queste immagini? Ne è soddisfatto?
«Sì. Certo, molte cose avrei potuto farle meglio. Ma in linea di principio, avevo un compito e non l’ho mai abbandonato».
Tra le sue conoscenze c’è Elon Musk. Se gruppi di scienziati e imprenditori riuscissero e realizzare il sogno della vita artificiale che tanto li appassiona, lei sarebbe interessato all’argomento?
«Credo che lo saremmo tutti.
Sicuramente la fabbricazione di nuovi microbi è nell’ambito del possibile; sarebbe però un po’ più difficile creare un nuovo tipo di dinosauri. Del resto non abbiamo alcun bisogno dei dinosauri: non sapremmo che farcene.»
Pensa che avremmo invece bisogno di prolungare indefinitamente la durata della nostra vita?
«È solo un’illusione. Perché la natura è un sistema dinamico, basato sul fatto che la durata della nostra vita è limitata — per nostra fortuna! Riesce a immaginare di continuare a vivere in mezzo alle stesse porcate per 400 anni?
Insopportabile! Per fortuna, un giorno moriremo».
Lei si è occupato tra l’altro del mito del vampiro. Sarà forse un incubo, ma è pur sempre un sogno di immortalità.
«Vada a vedere il mio Nosferatu: a differenza del vampiro di Murnau, privo di anima come un insetto, il mio un’anima ce l’ha, e soffre di non poter prendere parte alle vicende umane — ad esempio all’amore. Ma la cosa più terribile è non poter morire».
E i suoi documentari?
«Prendiamo quello su Gorbaciov: ho già girato due volte con lui, in ottobre e in dicembre. Si tratta di conversazioni. Ora Gorbaciov mi ha chiamato di nuovo; in qualche modo mi si è affezionato. È chiaro che questa sarà per lui l’ultima occasione per esprimersi pubblicamente. Gli fa piacere, credo, potersi rivolgere a qualcuno che non è un giornalista ma un poeta. Peraltro ci accomunano varie cose, come la provenienza da una lontana provincia e l’infanzia in campagna».
Nel corso della sua carriera, la sua popolarità non ha mai smesso di crescere, come del resto il pubblico che la segue. Si è chiesto perché sono in tanti e seguire il suo lavoro?
«Le ragioni sono probabilmente diverse. Intanto il fatto che prendo iniziative in piena autonomia, senza aspettare i finanziamenti di Hollywood. Mi rimbocco le maniche e vado. C’è poi il fatto che in un lungo arco di tempo i miei film non hanno mai perso in credibilità. Le altre ragioni potrebbero essere molto semplici, legate al fatto che non mi sento veramente a mio agio nel mondo consumistico. Possiedo un unico paio di scarpe, quelle che indosso. Siamo in troppi su questo pianeta, e troppo spesso prigionieri del consumismo; e per questo andiamo incontro alle catastrofi ecologiche. Gli oceani sono pieni di rifiuti di plastica».
– © Die Welt / LENA, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Elisabetta Horvat