sabato 28 aprile 2018

Repubblica 28.4.18
Sangue a Gaza, i palestinesi spinti alle cariche


Nel corso della giornata di ieri alcuni dirigenti del gruppo hanno raggiunto migliaia di dimostranti, raccoltisi, come nelle settimane passate, in cinque punti di frizione lungo il confine, e da là hanno esortato al popolazione di Gaza a non desistere dalla lotta elaborata per forzare il blocco e rompere le linee di confine. Da Ramallah un consigliere del presidente Abu Mazen, Muhammad al-Habbash, ha fatto appello agli abitanti di Gaza perché non seguano la politica degli “avventurieri” e “non mandino i figli a morire”. L’alto bilancio di vittime e feriti fa temere che nelle giornate da qui al 15 maggio la tensione possa salire ancora.
Ancora sangue a Gaza: nel quinto venerdì di protesta lungo il reticolato che separa la Striscia da Israele tre palestinesi sono morti e almeno 600 sono rimasti feriti, colpiti dall’esercito israeliano.
Tutti i morti, secondo medici a Gaza, sono stati uccisi da proiettili alla testa.
Inizialmente pacifica, la protesta è degenerata quando - secondo testimoni citati dal New York Times - centinaia di manifestanti si sono lanciati contro la recinzione, incoraggiati da un leader di Hamas che ha detto loro di non temere il martirio. Alcuni di loro avrebbero tentato di appiccare un incendio e come risposta gli israeliani avrebbero lanciato delle granate: cosa che spiegherebbe l’altissimo numero di feriti. Il portavoce militare israeliano Jonathan Conricus ha spiegato che i soldati hanno reagito a «un tentativo di massa da parte di decine di facinorosi di sfondare i reticolati di confine al valico di Karni. Hanno cercato di appiccare il fuoco ma sono stati respinti dei militari».
Quello che è certo è che mai dall’inizio delle proteste i palestinesi erano riusciti ad arrivare tanto vicino ai militari con la Stella di David.
La “Marcia del ritorno” lungo la linea di demarcazione tra Gaza e Israele, è iniziata il 30 marzo: l’idea di una protesta pacifica contro le violazioni dei diritti dei palestinesi residenti nella Striscia e a favore del diritto di ritorno nei territori ora sotto controllo israeliano, è stata di diversi esponenti della società civile della Striscia, ma ha poi coinvolto tutti i gruppi e i movimenti presenti nell’area, compresa Hamas.
Dall’inizio delle proteste, secondo l’Onu, sono morti 44 palestinesi e 5.500 sono rimasti feriti: il calcolo non include le vittime di ieri. Le proteste continueranno ogni venerdì, per culminare nella giornata del 15 maggio, 70esimo anniversario della nascita di Israele.
L’alto numero di vittime ha provocato la reazione dell’Onu e di Amnesty international, che sono tornati separatamente ad accusare i militari israeliani di aver fatto «un uso sproporzionato della forza nei confronti di dimostranti disarmati». Da parte sua il Centro di informazione sull’ intelligence e il terrorismo (Iitc) di Tel Aviv ha pubblicato un’analisi, secondo cui l’80% dei primi 40 palestinesi uccisi sul confine erano «membri attivi o fiancheggiatori di gruppi terroristici».
La protesta sta contribuendo a riaccendere le tensioni interne al campo palestinese: gli organizzatori iniziali sono stati infatti messi da parte dai più organizzati membri di Hamas.