La Stampa TuttoLibri 28.4.18
Anche i tedeschi diventarono vittime quando l’Armata Rossa sfondò il fronte
Il
crollo della Germania nazista visto da un podere della Prussia
orientale i profughi incalzati dai russi cercano scampo, ma il caos
inghiotte tutti
di Luigi Forte
Nel podere
Georgenhof con la casa padronale a due piani, il bel salone con grandi e
anneriti ritratti di notabili alle pareti, i trofei di caccia e la sala
da biliardo, sembrava che il tempo si fosse fermato. E dire che in
quell’inverno del 1945, proprio là fra le cittadine di Mitkau e Elbing
nella Prussia orientale, il fronte di guerra non era lontano e i russi
potevano arrivare da un giorno all’altro. Mentre il mondo bruciava, qui
la vita proseguiva senza grandi scossoni. Se si eccettua l’assenza del
padrone di casa, Eberhard von Globig, ufficiale della Wehrmacht in
Italia, e la presenza saltuaria di sfollati dall’est come l’invalido
signor Schünemann esperto di economia, o la giovane violinista Gisela,
in giro per gli ospedali della regione per offrire con la sua musica un
po’ di svago ai feriti.
La porta di casa è sempre aperta e
Katharina, moglie di Eberhard, chiusa nel suo mondo di fantasie, osserva
con curiosità tutta quella gente in fuga. È una trasognata berlinese
dagli occhi azzurri e dai folti capelli neri. Divora libri nel suo
«rifugio» al primo piano e vaga col pensiero fra mille nostalgie: il
marito lontano, che pure una volta ha tradito, la piccola Elfie morta di
scarlattina e la giovinezza nella sua favolosa città. Qui lei ora è
come sospesa nel tempo. Certo, c’è da pensare al figlio dodicenne Peter,
un curioso ragazzo dalla testa affilata che s’aggira per il podere con
un microscopio e il binocolo del padre. Ma alla casa bada la matura
signora Harnisch, che tutti chiamano zietta e che fa parte - come dice
lei - dell’inventario della famiglia. In cucina ci sono due ucraine,
Sonja e Vera, e ai lavori più pesanti ci pensa il polacco Wladimir.
Se
non fosse per quel fragore lontano, le sirene d’allarme o gli aerei che
passano rombando, Georgenhof sarebbe un vero idillio. Ma dietro quel
mondo, nel corso di una tremenda guerra scatenata dalla follia nazista,
si ammucchiano migliaia di vittime e montagne di colpe.
È su
quello sfondo che matura il romanzo del 2006 di Walter Kempowski, Tutto
per nulla, pubblicato ora da Sellerio a cura di Mario Rubino. L’autore,
nato a Rostock nel 1929 e scomparso nel 2007, non ebbe vita facile: fu
arruolato giovanissimo, poi dopo il conflitto passò otto anni in carcere
nella ex Rdt per spionaggio filoamericano. Col tempo la sua vecchia
vocazione letteraria nata già sui banchi di scuola trovò ampio sbocco in
un ciclo di romanzi autobiografici, La cronaca tedesca, mentre più
tardi, nel corso degli anni Novanta, nacque una vasta ricostruzione
documentaria degli anni di guerra, L’ecoscandaglio, basata su documenti e
testimonianze di ogni genere.
Un po’ di quell’atmosfera ritorna
anche qui nell’inesorabile fine che attende la piccola comunità attorno
alla casa dei Globig proiettata sull’epico sfondo di una caotica
evacuazione di massa. Come già Grass con Il passo del gambero, anche
Kempowski prova a mettersi dalla parte dei profughi incalzati dalle
truppe russe. Ma il dramma è per buona parte del romanzo proiettato a
fondo scena, mentre in primo piano c’è un viavai di personaggi spesso
gustosi e originali come il dottor Wagner, l’insegnante di Peter, che
sogna la sua vecchia Königsberg, o il barone baltico che si porta
appresso, oltre alla moglie, un pappagallo nero. E certo non mancano gli
arcinazisti come Drygalski, che sogna la vittoria, odia la gentaglia
dell’est e nutre sospetti verso la famiglia Globig. Non del tutto
infondati, visto che Katharina, su pressione del pastore Brahms, accetta
di ospitare per una notte un ebreo berlinese. Si verrà a sapere e la
bella signora finirà in carcere per poi scomparire nel turbinio degli
eventi, in fuga con tanti altri prigionieri. Si è ormai aperto il
baratro in cui poco per volta tutti scompaiono. Perfino l’ufficiale
Eberhard suicida nella lontana Italia.
Il talento epico di
Kempowski si nutre di distanza, non di enfasi. Come il piccolo Peter
rimasto solo per strada dopo la morte di zietta. Non ha lacrime ma occhi
che scandagliano una realtà surreale. Vuoto e quasi indifferente
davanti alla laguna della Vistola e a quel mare dove riuscirà a
imbarcarsi. A lui, l’incolpevole, spetta un nuovo inizio. Per gli altri
valgono solo le parole di Lutero preposte al romanzo: «Soltanto la tua
grazia e il tuo favore/valgono a rimettere i peccati;/a nulla giova
tutto il nostro agire/anche nella migliore delle vite».