Il Sole 28.4.18
Stabilità asiatica
Pechino, l’ineludibile convitato di pietra
di Rita Fatiguso
La
Cina è il convitato di pietra al tavolo del primo ricevimento dei
cugini coreani da sessant’anni a questa parte. Non c’è storia tra
l’incontro tra Kim e Moon e quello che, contestualmente, si svolgeva in
Cina tra il core leader Xi Jinping e il primo ministro indiano Narendra
Modi. «Dopo mesi di tensione tra i due vicini - hanno riportato i media
statali - Pechino spera che l’incontro apra un nuovo capitolo per i
legami bilaterali», ma il capitolo con l’India è storia minore.
Di
certo i pensieri di Xi Jinping vagavano da tutt’altra parte, perché nel
retrobottega cinese sta succedendo ciò che i suoi predecessori mai e
poi mai si sarebbero augurati: una ripresa forte dei rapporti
diplomatici tra le due Coree, congelati dall’armistizio degli anni
Cinquanta, con la prospettiva concreta di ritrovarsi gli americani
praticamente in casa. Difatti, fervono le trattative per organizzare
l’atteso incontro in Nord Corea del presidente Donald Trump in casa di
Kim Jong-un il che, inevitabilmente, materializzerà l’incubo di Pechino.
La Casa Bianca ha fatto già sapere di avere tre-quattro opzioni.
Per
neutralizzare l’incubo, il ministero degli Esteri cinese, laconico, ha
fatto sapere attraverso il portavoce Lu Kang che «la Cina ha accolto con
favore la dichiarazione congiunta della Corea del Nord e della Corea
del Sud dopo che i loro leader si sono impegnati a lavorare per la
completa denuclearizzazione della penisola coreana e dichiarare la fine
ufficiale della guerra coreana del 1950-53. La Cina spera che tutte le
parti possano mantenere lo slancio per il dialogo e promuovere
congiuntamente il processo di risoluzione politica per la questione
della penisola coreana. La Cina è disposta a continuare a svolgere un
ruolo proattivo a questo proposito». Fine del comunicato.
Quali
siano i veri sentimenti dei cinesi, lo si può solo intuire. Ricevendo il
giovane scapestrato Kim Jong-un nella Great Hall of People per una cena
protocollare con tanto di rispettive mogli al fianco ma in un clima
molto disteso, Xi Jinping ha sapientemente giocato di anticipo. Non è
stata, forse, la Cina, una strenua sostenitrice della denuclearizzazione
della Provincia coreana?
Ora, però, il gioco si complica. Oltre
lo storico incontro di ieri la Cina resta l’elemento cruciale della
stabilità della penisola e dintorni, a patto che non ci siano ingerenze
di altro tipo.
Non sappiamo nemmeno quanto i due leader coreani
abbiano pensato a Xi Jinping, nella foga di stringersi ancora una volta
la mano. Di certo l’accelerazione impressa agli eventi spinge il
presidente cinese a concentrarsi sul suo vero e unico contraltare: il
collega americano Donald Trump.
Consenziente al riavvicinamento
delle due Coree, Xi Jinping punta al disimpegno degli Usa sul versante
taiwanese, in modo tale da allentare i legami tra la Provincia ribelle e
gli Usa, fino a indebolire ogni istanza di separatismo di Taipei.
Se
il sangue coreano comincerà a scorrere in un corpo unico, questo deve
poter succedere anche con quello cinese. La simmetria è implicita tra le
righe del discorso di Xi al 19esimo Congresso. Xi, di conseguenza, non
vuole ingerenze nel “suo” mar Cinese meridionale quindi, al netto delle
dispute commerciali e delle accuse di ulteriori furti di segreti
industriali, come attesta il monitoraggio lanciato ieri da Washington su
tutte le joint ventures basate sull’intelligenza artificiale, Pechino
si aspetta di poter pattugliare, come ha ripreso a fare, lo Stretto di
Taiwan. Indisturbata. Com’è noto, così non è stato, gli americani non
sono rimasti a guardare e l’ammiraglio Phil Davidson che prenderà il
comando sull’area asiatica al posto di Harry Harris, ha un temperamento
forte, proprio di quelli che piacciono a Donald Trump.