Repubblica 16.4.18
Il reportage
Sul Golan dopo i missili le mosse di Israele e Iran lungo il fronte più caldo
Dal
sospetto raid ad Aleppo contro i pasdaran alle minacce di Khamenei Sale
ogni giorno di più la tensione tra i due Paesi. Con un occhio a Putin
di Vincenzo Nigro
MOUNT
BENTAL (alture del Golan) È sempre più uno scontro diretto fra Iran e
Israele. Per questo salire al monte Bental, sulle alture del Golan,
aiuta a capire quanto i due nemici siano arrivati pericolosamente
vicini. Dal punto di osservazione più alto si vedono i verdi campi della
pianura siriana, la cittadina di Quneitra, i villaggi occupati dai
ribelli e poi le strade che portano verso Damasco o il Sud. Il posto di
ascolto di intelligence della “ montagna dell’elefante”, lì dove ci sono
i soldati iraniani.
Al bar del Bental arrivano gruppetti di
studenti, ospiti di riguardo scortati dalla protezione israeliana,
diplomatici e militari dell’Onu che controllano la separazione con la
Siria. Tutti a guardare dall’altra parte della “ linea Alfa”. « Non è
cambiato tutto, ma sta cambiando molto » , dice un ufficiale
dell’esercito di Israele. Ufficialmente i portavoce di Idf sono molto
cauti in queste ore: dopo l’attacco americano contro i depositi chimici
di Assad, Israele deve capire ancora fino in fondo come gestire i
prossimi passi.
Per ora i due nemici continuano a scambiarsi parole,
anatemi e maledizioni. Citazione storica nella dichiarazione
dell’ayatollah Khamenei, che parlando degli attacchi aerei americani,
francesi e britannici di sabato scorso li chiama «l’aggressione
tripartita». Rievoca l’invasione dell’Egitto che Francia, Gran Bretagna e
Israele fecero nel 1956 per controllare il canale di Suez. In Israele
il più duro ieri era Gilad Erdan, il ministro dell’Interno, un giovane
leone del Likud: «Gli attacchi aerei in Siria dovrebbero continuare. Non
ci faremo schiacciare dall’Iran ».
Il problema è che oltre le
parole, Iran e Israele fanno fatti: i bombardamenti segreti di Israele, i
rifornimenti di armi iraniane ad Hezbollah e Assad, un fiume che parte
dall’Iran, attraversa l’Iraq e arriva fin sulle sponde del Mediterraneo.
Sabato notte nella regione di Aleppo c’è stato un altro misterioso
bombardamento. È stata colpita una base in cui i pasdaran iraniani
conservavano materiali militari. Israele questa volta è stato molto
discreto, i corrispondenti dei giornali e delle tv non sono stati
autorizzati a raccontare il bombardamento. Ai giornalisti Idf affida
però le sue riflessioni. La prima: la superiorità aerea israeliana in
Libano e in Siria ormai è in serio pericolo. Quando sabato americani,
francesi e inglesi hanno colpito in Siria, la difesa aerea russa è
rimasta spenta, hanno reagito soltanto i siriani. Zvi Barel, l’esperto
strategico di Haaretz, spiega che per Israele a questo punto è tutto
nelle mani di Putin: «Se davvero vendono o regalano ai siriani i missili
S- 300 per noi i problemi saranno assai seri».
L’S- 300 ( per non
parlare dell’S- 400) è un incubo per gli israeliani. Spiega un
ufficiale: « Un convoglio tipo di questi missili antiaerei si muove con
radar, centro di controllo e poi 6 rimorchi con 4 tubi lanciatori: in
tutto 24 missili. Ogni sistema radar può gestire contemporaneamente 12
missili, per cui diciamo che possono lanciare 2 missili contro ognuno di
6 aerei » . Sarebbe la fine della possibilità di volare in sicurezza
per Israele.
Cosa dicono invece i militari dell’attacco americano di
sabato? «È stato un attacco limitato, preciso, diciamo responsabile. Per
colpire gli impianti chimici, per scoraggiare Assad dall’adoperare di
nuovo armi chimiche. Senza far reagire i russi. Ma tutto il resto è
rimasto uguale, e anzi adesso russi, siriani e iraniani sono ancora più
compatti » . Per Israele il bombardamento di non ha indebolito per nulla
Assad, che si è fatto riprendere mentre entrava a piedi in ufficio fra
gli uccellini che cantavano. Non ha minacciato il regime, che verrà
difeso a spada tratta da Putin.
Paradossalmente adesso il vero
problema per Israele si chiama Donald Trump, che è l’unico su cui
davvero si potrebbe provare a fare pressioni. « Che cosa osa vuole
Trump? Cosa faranno gli americani in Siria? Davvero si ritireranno
presto come chiedeva il presidente » , dice un tenente colonnello: «
Oppure rimarranno, per giocare un ruolo più importante, che per noi è
vitale? » . Dal monte Bental si vedono i ribelli siriani e gli iraniani,
ma l’America è troppo lontana.