Repubblica 15.4.18
Il racconto siriano
Le voci contro Assad
La speranza e la delusione “ Il massacro andrà avanti”
“Il mondo ha scelto ancora di non opporsi alle stragi”, dice l’attivista al Hamza
Abdullah, fotografo di Douma: “ Come dire al rais: continua pure ad ammazzare, solo non usare i gas”
di Francesca Caferri
Prima
c’è stata la speranza: «Prego che colpirà duro, signor presidente, che
farà spuntare un sorriso sulla faccia delle madri che hanno perso i loro
figli», chiedeva poche ore prima dell’attacco rivolgendosi direttamente
a Donald Trump Abdelaziz al Hamza, uno dei più noti attivisti siriani,
fondatore del pluripremiato sito Raqqa has been slaughtered silently.
Poi, quando la portata dell’azione congiunta di americani, francesi e
britannici è diventata chiara, è arrivata la delusione: «Ancora una
volta il mondo ha scelto di non opporsi al massacro dei siriani. Ma solo
all’uso di certi metodi per portare avanti il massacro», scriveva su
Twitter Alia Malek, attivista e scrittrice siro-americana. Non era un
giudizio isolato, il suo.
Più passavano le ore ieri, più la
delusione dei siriani che si oppongono al governo per le modalità e gli
obiettivi dell’azione militare contro Bashar al Assad cresceva. Forte,
fortissima, alimentata dal rimpianto di aver di nuovo creduto nella
possibilità di un aiuto reale da parte degli Stati Uniti: ad appena
dodici mesi di distanza dal primo attacco di Trump contro Assad, a cui
non era seguita nessuna azione per modificare gli equilibri del potere
in Siria.
«L’hanno chiamata una vendetta per il massacro di Douma,
a me sembra piuttosto come colpire un pugile alle gambe e alle mani, ma
scegliere di non buttarlo giù», dice dal confine siro-turco Firas
Abdallah, fotografo e attivista di Douma che per mesi ha documentato
l’assedio della sua città, abbandonandola solo due settimane fa, quando
il regime l’ha definitivamente stretta.
«Abbiamo vissuto la fame,
la mancanza di medicine, abbiamo perso tutto. Ci hanno colpito in ogni
modo: con l’artiglieria, con i barili bomba. Abbiamo chiesto aiuto in
ogni maniera possibile: e questo è quello che otteniamo? Che il
criminale che ci ha massacrato resti al suo posto con qualche danno alle
sue infrastrutture militari?
Forse il mondo è diventato sordo».
Nel 2013 Mohammed Abdullah fu uno dei fotografi che raccontò la prima strage con agenti chimici a Douma.
Morirono
1.400 persone: vittime di gas sarin, spiegarono gli esperti dell’Onu.
Gli scatti di quel giorno, i corpi dei bambini avvolti nei sudari
bianchi, lo perseguitano anche oggi che ha iniziato una nuova vita in
Belgio. A quella strage non seguì nessuna azione militare per scelta
dell’allora presidente Barack Obama, che pure aveva fissato la ‘linea
rossa’ dell’America proprio sull’uso di armi chimiche da parte del
regime. «Sto malissimo – racconta al telefono – appena sono arrivate le
prime immagini delle ultime vittime ho avuto un attacco di panico: non
riuscivo a guardarle, troppe cose mi sono tornate in mente. Quando
finalmente mi sono costretto a farlo ho visto le stesse scene: la saliva
bianca nella bocca dei bambini, le donne abbracciate ai corpi dei
figli, i medici impotenti. Sto male per questo e perché ho creduto che
l’Occidente non avrebbe permesso che accadesse di nuovo. Oggi so di aver
sbagliato.
Il messaggio che Trump e Macron hanno mandato ad Assad
è chiaro: continua pure ad ammazzare la tua gente, solo non usare armi
chimiche».
È un fiume in piena la rabbia dei siriani anti-regime e
di chi li sostiene. È fatto della feroce ironia del vignettista Hani
Abbas, che ieri su Facebook pubblicava il necrologio del “prestigioso
centro di ricerca scientifica” colpito a Damasco. E della crudezza delle
parole di Loubna Mrie, attivista alawita che fra i primi, nel 2012,
raccontò al mondo il prezzo – l’assassinio della madre – che pagava chi,
originario dell’etnia del presidente, si univa alla rivoluzione: «Gli
Usa non sono nostri alleati tanto quanto non lo sono i russi».
Nessuna
gioia, nessun elogio a ‘Abu Ivanka’, come un anno fa nell’euforia per
quel primo attacco gli attivisti avevano ribattezzato Trump. Ieri,
ancora una volta, migliaia di siriani si sono sentiti abbandonati.