Repubblica 12.6.18
Medici aggrediti “ Ormai 3 al giorno” Partono i corsi di autodifesa
Nell’ultimo
anno i casi sono stati 1.200, il record in Puglia dove c’è chi va al
lavoro con la guardia del corpo: “Siamo il capro espiatorio dei
pazienti”
di Alessandra Ziniti
Roma L’ultima
aggressione martedì a Poggibonsi, lunedì a Palermo un colpo di casco
alla schiena del medico di turno sferrato dal familiare di un paziente
in attesa di ricovero. E il giorno prima a Napoli cinque medici e
infermieri del pronto soccorso del Pellegrini picchiati. Ancora a
Palermo le botte all’équipe chirurgica che aveva tentato senza successo
di salvare un bimbo nato con un tumore.
Quasi 1.200 casi in un
anno, 3 al giorno, 2 vittime su 3 sono donne. Un’inarrestabile
escalation di violenza davanti alla quale i camici bianchi si sentono
sovraesposti a fronte di misure di sicurezza totalmente inadeguate.
Tanto che la Federazione degli ordini dei medici e degli odontoiatri ha
deciso di includere corsi di autodifesa nella formazione professionale
dei medici. Il primo corso è già online.
Quali sono i segnali che
preannunciano una possibile aggressione? Come disinnescare la rabbia di
pazienti o familiari? Come riconoscere i campanelli di allarme di una
violenza imminente? I corsi appena approvati dall’Agenas cercheranno di
dare strumenti adeguati ai medici costretti a tutelarsi come possono.
«Stiamo assistendo ad un imbarbarimento culturale. E ad essere colpiti
non siamo solo noi professionisti della sanità — dice Filippo Anelli,
presidente della Federazione — Vedo un parallelo tra quanto accade a noi
e ai professori. Questi episodi sono frutto di una cultura
generalizzata secondo la quale la salute, la scuola, sono visti alla
stregua di un supermarket: prendo quello che mi piace, secondo i miei
desideri. Se qualcosa va storto, se non ottengo quello che voglio, devo
trovare un capro espiatorio » . Gli ultimi allarmanti dati
dell’osservatorio sulla sicurezza stilano anche una classifica delle
regioni più pericolose: la Puglia, con il 26 per cento dei casi, e la
Sicilia con il 16 per cento, seguite a ruota da Lombardia e Sardegna.
Dati certamente sottostimati perché rilevati dall’Inail sulla scorta di
pratiche di risarcimento di infortuni sul lavoro, dunque solo casi
gravi. «Purtroppo quel monitoraggio dei cosiddetti eventi- sentinella
che il ministero aveva invitato le Regioni a fare per modificare le
condizioni che generano violenza non è mai andato a buon fine. Solo 8
regioni su 21 hanno risposto», dice Anelli.
Fatto è che nove
medici su dieci di guardia medica sono a rischio visto che le misure di
sicurezza quasi mai funzionano a dovere. Le telecamere di sorveglianza a
circuito chiuso servono a poco se non sono collegate in diretta con chi
può intervenire, così come i sistemi di allarme “ a filo” che si
staccano facilmente, i braccialetti elettronici senza gps e i presìdi
senza vigilanza.
Corsi di autodifesa a parte, i medici le loro
proposte le hanno già messe sul tavolo, a cominciare dalla equiparazione
del reato a quello di violenza a pubblico ufficiale, innalzando le pene
e rendendolo sempre perseguibile d’ufficio. E poi l’obbligo per i
direttori generali delle aziende di non lasciare mai soli i medici nei
presìdi di guardia medica e spot della Pubblicità Progresso, per far
comprendere alla gente che “chi aggredisce un medico aggredisce sé
stesso”.
Messaggio difficile da far passare visto che il
principale fattore di rischio per gli operatori della sanità è quello
della prestazione negata o delle attese infinite. Vallo a spiegare a chi
non può fare una Tac perché si ritrova in un ospedale con il
macchinario guasto per mesi o chi pretende una sutura in una guardia
medica dove non c’è neanche il filo. «Il blocco del turnover, la carenza
di personale, gli orari massacranti, la carenza di fondi da destinare
alla messa in sicurezza delle sedi sono fattori che mettono a rischio la
nostra sicurezza», dice Anelli. Non c’è da stupirsi allora se, in
Puglia, qualche dottoressa ha pensato di dotarsi di bodyguard personale
per andare al lavoro mentre in alcune Regioni sono partite vere e
proprie campagne antiviolenza all’interno degli ospedali. Il ministro
della Salute Lorenzin prima di congedarsi assicura: «La prevenzione
della violenza sui luoghi di lavoro e contro le donne deve essere una
priorità di governo».