giovedì 12 aprile 2018

Repubblica 12.6.18
Medici aggrediti “ Ormai 3 al giorno” Partono i corsi di autodifesa
Nell’ultimo anno i casi sono stati 1.200, il record in Puglia dove c’è chi va al lavoro con la guardia del corpo: “Siamo il capro espiatorio dei pazienti”
di Alessandra Ziniti


Roma L’ultima aggressione martedì a Poggibonsi, lunedì a Palermo un colpo di casco alla schiena del medico di turno sferrato dal familiare di un paziente in attesa di ricovero. E il giorno prima a Napoli cinque medici e infermieri del pronto soccorso del Pellegrini picchiati. Ancora a Palermo le botte all’équipe chirurgica che aveva tentato senza successo di salvare un bimbo nato con un tumore.
Quasi 1.200 casi in un anno, 3 al giorno, 2 vittime su 3 sono donne. Un’inarrestabile escalation di violenza davanti alla quale i camici bianchi si sentono sovraesposti a fronte di misure di sicurezza totalmente inadeguate. Tanto che la Federazione degli ordini dei medici e degli odontoiatri ha deciso di includere corsi di autodifesa nella formazione professionale dei medici. Il primo corso è già online.
Quali sono i segnali che preannunciano una possibile aggressione? Come disinnescare la rabbia di pazienti o familiari? Come riconoscere i campanelli di allarme di una violenza imminente? I corsi appena approvati dall’Agenas cercheranno di dare strumenti adeguati ai medici costretti a tutelarsi come possono. «Stiamo assistendo ad un imbarbarimento culturale. E ad essere colpiti non siamo solo noi professionisti della sanità — dice Filippo Anelli, presidente della Federazione — Vedo un parallelo tra quanto accade a noi e ai professori. Questi episodi sono frutto di una cultura generalizzata secondo la quale la salute, la scuola, sono visti alla stregua di un supermarket: prendo quello che mi piace, secondo i miei desideri. Se qualcosa va storto, se non ottengo quello che voglio, devo trovare un capro espiatorio » . Gli ultimi allarmanti dati dell’osservatorio sulla sicurezza stilano anche una classifica delle regioni più pericolose: la Puglia, con il 26 per cento dei casi, e la Sicilia con il 16 per cento, seguite a ruota da Lombardia e Sardegna. Dati certamente sottostimati perché rilevati dall’Inail sulla scorta di pratiche di risarcimento di infortuni sul lavoro, dunque solo casi gravi. «Purtroppo quel monitoraggio dei cosiddetti eventi- sentinella che il ministero aveva invitato le Regioni a fare per modificare le condizioni che generano violenza non è mai andato a buon fine. Solo 8 regioni su 21 hanno risposto», dice Anelli.
Fatto è che nove medici su dieci di guardia medica sono a rischio visto che le misure di sicurezza quasi mai funzionano a dovere. Le telecamere di sorveglianza a circuito chiuso servono a poco se non sono collegate in diretta con chi può intervenire, così come i sistemi di allarme “ a filo” che si staccano facilmente, i braccialetti elettronici senza gps e i presìdi senza vigilanza.
Corsi di autodifesa a parte, i medici le loro proposte le hanno già messe sul tavolo, a cominciare dalla equiparazione del reato a quello di violenza a pubblico ufficiale, innalzando le pene e rendendolo sempre perseguibile d’ufficio. E poi l’obbligo per i direttori generali delle aziende di non lasciare mai soli i medici nei presìdi di guardia medica e spot della Pubblicità Progresso, per far comprendere alla gente che “chi aggredisce un medico aggredisce sé stesso”.
Messaggio difficile da far passare visto che il principale fattore di rischio per gli operatori della sanità è quello della prestazione negata o delle attese infinite. Vallo a spiegare a chi non può fare una Tac perché si ritrova in un ospedale con il macchinario guasto per mesi o chi pretende una sutura in una guardia medica dove non c’è neanche il filo. «Il blocco del turnover, la carenza di personale, gli orari massacranti, la carenza di fondi da destinare alla messa in sicurezza delle sedi sono fattori che mettono a rischio la nostra sicurezza», dice Anelli. Non c’è da stupirsi allora se, in Puglia, qualche dottoressa ha pensato di dotarsi di bodyguard personale per andare al lavoro mentre in alcune Regioni sono partite vere e proprie campagne antiviolenza all’interno degli ospedali. Il ministro della Salute Lorenzin prima di congedarsi assicura: «La prevenzione della violenza sui luoghi di lavoro e contro le donne deve essere una priorità di governo».