giovedì 12 aprile 2018

Repubblica 12.6.18
Zuckerberg al Congresso
L’alieno nella caverna
di Vittorio Zucconi


Vicini nello spazio e lontanissimi nel tempo, “Zuck l’alieno” e i vecchi terrestri della politica americana s’incontrano faccia a faccia senza capirsi. Non parlano la stessa lingua. Usano apparentemente l’inglese, i senatori e il viaggiatore del tempo della Rete, ma non esiste un traduttore che possa permettere a un senatore di 80 anni, eletto quando Zuckerberg non era neppure nato, e all’enfant prodige un po’ discolo piovuto da un’altra galassia di capirsi.
Tutti i 44 senatori che hanno voluto interrogare il creatore di Facebook, sotto accusa per il torbido traffico di dati personali usati per manipolare i comportamenti degli ignari “ amici”, potrebbero essere padri o madri del trentenne miliardario, avendo un’età media di 62 anni. Alcuni, come il decano del Vermont, Pat Leahy, dalla voce ormai fioca, potrebbero addirittura esserne i nonni, con i loro quasi ottant’anni. E chi guarda il dialogo impossibile fra un ottuagenario cresciuto a pane e carta e un trentenne precipitato sulla Terra dal pulviscolo primordiale di bit e bytes, se è nonno come me, tende a simpatizzare con il vecchio, disperatamente annaspante fra “pipes”, “messengers”, algoritmi e “string” alfanumeriche.
L’alieno, che per l’occasione si era travestito da terrestre, risultando incongruo come un trucco di Photoshop, recitava la parte del bambino buono e contrito, che assicura il sinedrio dei vecchi di essere venuto in pace e promette di comportarsi bene d’ora in poi, anche per evitare di perdere altri dieci miliardi di dollari — quasi una “manovra” da Def italiano — dal portafoglio delle sue azioni. Ma come lui risponde quasi roboticamente, secondo le formule scritte dagli avvocati che lo hanno programmato, così i vecchi del sinedrio tentano di capire e di applicare le istruzioni che i giovani dello staff hanno preparato.
Il senatore Durbin dell’Illinois gli chiede in quale albergo abbia trascorso la notte e l’alieno vestito da umano balbetta di non capire il perché. «Ah ah — lo rimbrotta il senatore che di algoritmi non capisce nulla, ma di alberghi sì — vede che lei non vuol rivelare dettagli personali che invece i frequentatori di Facebook diffondono » . “ Zuck robot” sbatte gli occhietti incredulo. Leahy vuol capire che cosa siano le “pipes”, i comandi che permettono a un programma di diffondere dati come acqua in una rete di acquedotti, e l’alieno tenta inutilmente di spiegare che non è questione di idraulica e non ci sono “tubi” fra Fb, Analytica e gli altri razziatori di dati.
Un senatore dell’Alabama non capisce che cosa sia Messenger, il servizio per scambiare messaggi che “ Zuck robot” usava, cancellando poi quelli che voleva far sparire, cosa che ai normali utenti era vietata, ma che dovrebbe essere ora estesa a tutti. Faticano nonni e nonne sugli scranni del Congresso, aggrappati all’antiquariato dei contatti personali, delle pacche sulle spalle e del telefono, ad arrendersi ai nipoti che aborrono le conversazioni in voce. Rispondendo sdegnati ai loro avi, come mi rispondono i nipoti: «Nessuno parla più per telefono, nonno».
E prima ancora che le audizioni di Zuckerberg arrivino al gomitolo di possibili abusi dei dati da lui incoscientemente diffusi e poi smazzati fra miliardari ultraconservatori come i Mercer di Cambridge Analytica pro Trump, i boys dell’ex Kgb putiniano, i trumpistas e i piazzisti di tutto che ci assalgono con offerte mirate che non abbiamo mai richiesto, il dramma al quale abbiamo assistito nella due giorni inutile dello show è il ritorno prepotente di quello che 30 anni or sono si chiamava il Generation gap, l’abisso fra generazioni. “Zuck” è già ripartito verso il suo lontano pianeta nella Silicon Valley. I vecchi terrestri si sono rintanati nella loro grande caverna di marmo e boiserie per decifrare un mondo nel quale i tubi non sono tubi e l’algoritmo non è un nuovo ballo.