Corriere 12.4.18
Cremona 1946, i giorni di Villa Triste
Nel dossier salvato nel ’46 da un poliziotto le torture del carcere repubblichino
Memoria. La giornalista Barbara Caffi ricostruisce per le Edizioni Fantigrafica le storie dei prigionieri
di Corrado Stajano
Un
romanzo nero. Un racconto vero. Un dossier rispuntato tanti decenni
dopo fa rivivere ancora una volta il tormento della guerra. Con le aride
parole dell’ufficialità ricrea il clima torbido del fascismo di Salò
che ancora oggi si preferisce dimenticare, ammorbidire, persino
giustificare come tenta di fare un revisionismo impudico.
Perché
il misterioso dossier colpisce al cuore considerando i chilometri di
bibliografia che esistono sull’argomento? Perché queste carte, queste
veline, questi rapporti e verbali d’epoca appaiono come crudi brandelli
di carne sanguinante.
Che cosa è successo. Il 22 giugno 1946 fu
pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della neonata Repubblica il decreto
presidenziale, la cosiddetta «amnistia Togliatti», che concedeva
l’amnistia — un vizio di casa — agli autori di reati puniti con una pena
detentiva non superiore a cinque anni. Le pene di morte si commutavano
in ergastoli, gli ergastoli in trent’anni di reclusione, le sanzioni
superiori ai cinque anni dovevano essere ridotte di un terzo. La legge
non ordinava di distruggere i documenti sui crimini fascisti, ma lasciò
quel dubbio in uomini dello Stato che ne ebbero la responsabilità. Molti
documenti finirono così al macero, molti furono invece archiviati,
altri fatti sparire. A Cremona, ad esempio, alcuni funzionari della
questura nascosero i faldoni delle inchieste fatte dopo la Liberazione,
gli interrogatori, le lettere, i telegrammi, tutto quel che riguardava
la «villa triste» della città. Un poliziotto lasciò in eredità il
dossier al figlio con la preghiera di renderlo pubblico settant’anni
dopo.
Quel poliziotto credeva nella verità dei fatti come prima
fonte della Storia. Il suo desiderio è stato ora esaudito. È nato così
un libro firmato dalla giornalista Barbara Caffi, Villa Merli. Il
dossier ritrovato (Edizioni Fantigrafica, Cremona).
«Il dossier su
Villa Merli — scrive l’autrice — è costituito da centinaia e centinaia
di pagine, brogliacci e veline battuti a macchina e annotati con matite e
inchiostri colorati, carte rese fragili dal tempo che si ha paura solo a
sfiorare. (...) Sono documenti che fanno venire i brividi ancora oggi, a
più di settant’anni di distanza. A guerra appena finita, portavano con
loro l’odore della paura, del dolore, del sangue, della morte».
Villa
Merli, a Cremona, è sul viale Trento e Trieste, viale del Pubblico
passeggio, nell’Ottocento. Un tempo ospitava un cappellificio, poi
divenne la grande villa di una famiglia borghese della città. Adesso è
un condominio di mattoni rossi che ha cancellato la memoria di quel
luogo sinistro e anche le scritte che i detenuti, partigiani, ebrei,
antifascisti lasciarono incise sui muri delle cantine.
Dall’estate
del 1944 alla Liberazione la villa fu sede dell’Upi, l’Ufficio politico
investigativo della Gnr, la Guardia nazionale repubblicana. A capo
dell’Upi era Angelo Milanesi, imprenditore di vernici, giustiziato a
Bergamo il 5 maggio 1945; a capo della Gnr il console Luigi Tambini,
giustiziato a Gallignano di Soncino il 26 aprile 1945. Un luogo fosco,
Villa Merli, nell’onda della Villa Triste di Milano, in via Paolo
Uccello 10, dove imperversò la banda Koch e dove nelle notti di sinistra
baldoria, tra cocaina e alcol, le persecuzioni e le torture contro gli
uomini della Resistenza furono atroci.
Milanesi e Tambini, anime
dannate, ebbero il ruolo di esecutori degli ordini di Farinacci. Il ras
di Cremona, dopo la seduta del Gran consiglio, il 25 luglio 1943, si
rifugiò all’ambasciata tedesca a Roma «tremante di paura», come scrisse
il colonnello delle SS Eugenio Dollmann nel suo Roma nazista ; ricevuto
da Hitler, criticò malaccortamente Mussolini e fu giudicato con
severità: «Quell’imbecille maldestro di Farinacci», scrisse di lui
Joseph Paul Goebbels nel suo Diario intimo . Dopo l’armistizio dell’8
settembre il ras, un po’ scaduto, tornò a Cremona su un’auto della
Luftwaffe e cominciò le sue vendette.
A Villa Merli è un continuo
andare e venire di spie e di delatori. Anche di traditori. Come Rino
Puerari che apparteneva alla garibaldina banda Ghinaglia. Saltò il fosso
e provocò l’arresto di 150 persone: «Molti ebbero a subire gravi
sevizie», scrivono i rapporti.
Raccapricciante il racconto di
Cesare Buongiorno arrestato nel luglio 1944, trasportato a Villa Merli
in un cassone con un bavaglio in bocca, picchiato con un bastone di
gomma e con uno staffile. Riuscì a salvarsi e dopo la guerra testimoniò
davanti alla Corte d’assise: «Mi si applicò alla fronte un cerchio di
ferro che stringeva sempre di più alla mia [risposta] negativa». Sul
viso, intanto, gli veniva proiettato un fortissimo fascio di luce che
veniva da un faro posto in un angolo della stanza.
Finte
fucilazioni, sevizie, torture furono la norma. E anche proposte di
fuggire fatte ai prigionieri da finti doppiogiochisti, con l’intento poi
di uccidere a colpi di mitra chi cascava nell’inganno.
Qualcuno,
come l’ingegner Roberto Ferretti, futuro questore della città,
comandante della banda Ghinaglia, rimase a Villa Merli 94 giorni, ma fu
rispettato. I fascisti pensavano forse già al futuro e non volevano
inimicarsi troppo i capi della Resistenza. Ferretti, un uomo alto, con
un gran naso, insegnava matematica al ginnasio. C’è ancora qualche
ragazzo di allora che lo ricorda a far scuola in cantina, svagato. Aveva
ben altro nella testa.
Sedicenti marchesi, preti spretati,
attricette di terz’ordine popolano la villa. La banda Koch manda a
Cremona suoi uomini per spiare Farinacci, nel nome del ministro degli
Interni Buffarini Guidi, il gran nemico al quale il ras locale voleva
succedere. L’Upi, a sua volta, indaga su Koch. Fin quando, il 25
settembre 1944, gli uomini della legione fascista Ettore Muti irrompono
nella milanese Villa Triste e arrestano una cinquantina di persone. Gli
uomini della Koch sono eccessivi persino per i fascisti.
Barbara
Caffi riesce a dominare una materia così intricata e perversa. Collega
via via con i suoi limpidi scritti le carte del dossier dell’orrore,
quadri di vita malvagia, tra lusinghe, minacce, violenze fisiche e
morali. Con l’oggettività possibile per una persona umana sa muoversi in
un sottosuolo macabro e inimmaginabile.
Dedica il suo libro, tra gli altri, «alla famiglia di Giulio Regeni».
La vittima di oggi.