Repubblica 11.4.18
L’atto d’accusa dell’Antitrust “ Facebook inganna gli italiani”
L’Authority
contesta profilazione scorretta e condizionamento indebito degli
iscritti Il colosso rischia una multa. Ma l’istruttoria può aprire la
strada a un intervento europeo
di Giuliano Foschini e Fabio Tonacci
Da
lunedì sul tavolo di Mark Zuckerberg c’è anche la lettera del Garante
della Concorrenza italiano, Giovanni Pitruzzella, recapitata in tre sedi
di Facebook. In California, in Irlanda e in Italia. La lettera non è di
cortesia, ma di contestazione: il social network avrebbe ingannato i
consumatori italiani. «Azioni e omissioni ingannevoli » , «pratiche
commerciali aggressive » e «indebito condizionamento » le accuse alle
quali Facebook dovrà rispondere, giustificandosi, entro 30 giorni.
Il
rischio per il gigante del web è una multa da cinque milioni di euro,
che per la società di Zuckerberg è polvere o poco più. Ma che potrebbe
diventare valanga: l’Italia ha già informato la Commissione europea
dell’iniziativa e ciò potrebbe essere un effetto domino. Del quale, in
queste ore, si sta già discutendo a Bruxelles.
La registrazione dei dati
Per
Facebook l’Autorità ipotizza due presunte pratiche commerciali
scorrette. La prima riguarda la fase di registrazione. Secondo
l’impostazione data dai giuristi italiani il social network avrebbe
adottato un’informativa priva di « immediatezza, chiarezza e completezza
in fase di registrazione alla piattaforma con riferimento alle modalità
di raccolta e utilizzo dei dati dei propri utenti a fini commerciali
durante la navigazione dentro e fuori da Facebook ». Che significa? Il
ragionamento del Garante ruota attorno all’utilizzo che Facebook fa
delle nostre informazioni grazie alle quali riesce a fare una montagna
di utili. L’Authority sospetta che l’utente non trovi alcuna evidenza
immediata sul ruolo centrale che assume la cessione dei suoi dati,
«utilizzati invece — spiega Pitruzzella — per alimentare alcuni
algoritmi a fini commerciali » . Non c’è quindi, o per lo meno non
sembra esserci, alcuna avvertenza reale che informi chi si iscrive al
social network sul significato reale dell’operazione: Facebook si limita
a sottolineare che l’iscrizione sarà gratuita per sempre.
L’utente
consapevole potrebbe però cliccare sulle varie informative e leggere a
cosa va incontro, come da sempre sostiene, difendendosi, Facebook. E
così è. Ma, dice oggi l’Authority, le informazioni « sono assolutamente
disorganiche » e soprattutto non riguardano i tre aspetti centrali della
vicenda: l’impiego dei «dati in algoritmi che profilano gli utenti per
campagne pubblicitarie » ; « la cessione dei dati a operatori terzi per
alimentare algoritmi con finalità di profilazione commerciale e
pubblicità»; «l’utilizzo delle preferenze degli utenti » . Facebook,
infatti, vende anche i nostri gusti: i “ like botton” nello sport,
musica, teatro. E anche le cerchie delle nostre amicizie che, come ha
dimostrato il caso Cambridge Analytica, possono essere utilizzate per
casi particolari di ingegneria sociale. Tali da condizionare
addirittura, secondo alcuni, le competizioni elettorali.
Il condizionamento indebito
Ed
è proprio sui condizionamenti che insiste l’Authority italiana nella
seconda accusa mossa a Facebook. Dal social network, si è detto, hanno
sempre sostenuto che l’utente può comunque negare la cessione dei suoi
dati. Vero. Ma al di là della chiarezza delle informazioni secondo
l’Authority italiana esiste un secondo problema: Facebook costringerebbe
l’utente a cederli, non fosse altro perché l’autorizzazione è già
preimpostata.
« È possibile — fanno sapere i tecnici che lavorano
con Pitruzzella — revocare il consenso, con la conseguenza, però, che
l’utente subisce rilevanti limitazioni nella fruizione del servizio in
relazione ad aspetti essenziali che lo caratterizzano come social
network». Per esempio diventa impossibile accedere ai siti, le
applicazione e i giochi ed esiste un blocco nell’interazione con la
comunità. « In questa maniera si è indotti a mantenere attivo lo scambio
dei propri dati, per evitare di subire limitazioni nell’utilizzo del
servizio conseguenti a una eventuale revoca del consenso».