Repubblica 10.4.18
Julia Kristeva
“Io, agente del Kgb bulgaro? Accuse false e tossiche”
La filosofa Julia Kristeva replica a un articolo del “Nouvel Observateur”
Il
Nouvel Observateur ha fatto la scelta di pubblicare un lungo articolo
intitolato Julia Kristeva ex agente del Kgb bulgaro, che si dedica ad
attribuirmi il ruolo romanzesco di informatrice dei servizi segreti
bulgari tra il 1970 e il 1973. A sostegno di un’accusa del genere porta
la divulgazione di un rapporto proveniente da «archivi» della polizia
bulgara, che menzionerebbe la mia partecipazione ad attività di
intelligence sotto lo pseudonimo fantasioso di «Sabina».
Ho già
smentito pubblicamente il contenuto di quei rapporti e quelle
informazioni immaginarie. L’articolo che si pubblica mi costringe e
farlo di nuovo: affermo di non aver mai, in qualsiasi modo, preso parte a
simili attività, la cui rivelazione, repentina e tardiva, arreca
pregiudizio alla comprensione e alla diffusione delle mie ricerche nel
campo della psicanalisi, della linguistica, della filosofia e della
contestazione politica del totalitarismo, in particolare nella mia
analisi dell’opera di Hannah Arendt. Simili asserzioni screditano i miei
lavori, e sul piano personale, torno a dirlo, risvegliano vecchie
ferite.
Ho abbandonato la Bulgaria grazie a una borsa del governo
francese, in condizioni difficili, lasciando laggiù la mia famiglia e
con la consapevolezza che le posizioni che avrei assunto dall’altro lato
della Cortina di Ferro avrebbero esposto i miei cari, e in particolare
mio padre, ai pericoli di un regime totalitario.
È storia vecchia,
ma oggi constato con grande pena che le pratiche equivoche delle
polizie segrete al servizio di questi regimi rimangono terribilmente
vive e tossiche. Il discredito che il giudizio della storia ha inflitto a
questi regimi passati non ha colpito, a quanto pare, la giornalista che
firma l’articolo. La schedatura di persone a loro insaputa, il fatto di
attribuire a esse delle parole, dei ruoli e delle funzioni senza
raccogliere il loro consenso e di costruire dossier sulle loro presunte
attività sono metodi ormai noti, ma non abbastanza noti. Ricercatori e
giornalisti, negli stessi Paesi ex comunisti, protestano oggi
vigorosamente contro queste falsificazioni e il loro utilizzo da parte
di commissioni tendenziose. Mi sarebbe piaciuto trovare nell’articolo
consacrato a questi «archivi» una traccia di quel discernimento critico,
invece di credulità e fascinazione verso questi detriti del passato.
Basta leggere, per esempio, le frasi inverosimili che il dossier mi
attribuisce, in forma di discorso indiretto, su Aragon e il surrealismo,
sulla Primavera di Praga o sulle «azioni di aiuto filopalestinesi»
frustrate dalla «propaganda francese in mano a organizzazioni sioniste»,
se si pensa ai miei scritti e alle mie posizioni pubbliche ben note su
questi argomenti, all’epoca come adesso; e, last but not least, basta
leggere la ripresa integrale (20 pagine tradotte in bulgaro!) della mia
intervista con Jean-Paul Enthoven sui «dissidenti» nel numero 658 del
Nouvel Observateur, 20-26 giugno 1974, che fa di me una persona sotto
sorveglianza più che un’«agente», per constatare che questa
manipolazione è intessuta di pettegolezzi riferiti e pseudofonti
mediatiche sovrainterpretate, senza alcun valore probatorio in questa
farsa penosa.
Non solo: il credito che l’articolo a me dedicato
accorda a informazioni archiviate in un edificio staliniano, partecipa —
e la cosa mi spaventa — alla perpetuazione spudorata di quei metodi
totalitari. Mi sarebbe molto piaciuto che la scoperta di quegli archivi
fosse un’occasione, per un settimanale come questo, di indignarsi per
azioni tanto indegne! E invece, nella pubblicazione così ingenua e
compiacente, leggo una forma avventata di giustificazione di quelle
pratiche.
Quegli «archivi» sono dei fossili ideologici sconfessati
e combattuti dalle democrazie: perché accordarvi oggi una fede tanto
cieca? Come si fa a non assumere il distacco che impongono ancora una
volta metodi del genere, e a ricavarne insegnamenti per il presente e
per il futuro? Come sempre, bisogna porsi la domanda: cui prodest?
Traduzione di Fabio Galimberti