Repubblica 10.4.18
L’altra Germania
Con tre colpi a Rudi “il rosso” si spense il ’68
di Angelo Bolaffi
Con
l’attentato a Dutschke, cinquant’anni fa, la spinta rinnovatrice appena
nata fu travolta dal settarismo e dal terrorismo della Raf Ma si aprì
anche la stagione di Willy Brandt e del “dorato decennio”
Sul
Kurfürstendamm la principale via di Berlino-Ovest la mattina dell’11
aprile del 1968 Joseph Bachmann, un imbianchino avvelenato dalla
campagna d’odio della stampa reazionaria del gruppo editoriale di Axel
Springer, sparò riducendolo in fin di vita tre colpi di pistola contro
Rudi Dutschke l’indiscusso leader del movimento studentesco tedesco:
nell’ex capitale del Reich e nelle altre principali città della
Repubblica federale seguirono giornate di scontri violentissimi. Le
immagini trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo ricordarono
quelle di una settimana prima negli Usa dopo l’omicidio di Martin Luther
King. Dutschke riuscì a sopravvivere nonostante le gravissime lesioni
cerebrali ma dovette persino imparare di nuovo a parlare e a leggere.
(Morì alla vigilia di Natale del 1979 annegato mentre faceva il bagno
nella sua casa in Danimarca per un attacco di epilessia conseguenza
delle ferite riportate nell’attentato). L’uscita di scena di Rudi “il
rosso” segnò la fine del’68 tedesco: una fine suggellata da una
drammatica serie di lutti.
Prima la scomparsa nell’agosto del 1969
di Theodor W. Adorno, provato dalla contestazione di quegli studenti
dei quali era stato padre spirituale. A guidarli contro il vecchio
maestro Hans Jürgen Krahl il “Robespierre di Bockenheim”, il quartiere
universitario di Francoforte, che di Adorno era stato l’allievo più
geniale e amato. Krahl, del quale Dutschke aveva detto «è il più
intelligente di tutti noi», restò vittima di un incidente stradale a
febbraio del 1970 (Claus-Jürgen Göpfert-Bernd Messinger, Das Jahr der
Revolte. Frankfurt 1968,
Schöffling & Co). Quello che era
stato un movimento di massa nel segno dell’antiautoritarismo e del
pensiero critico sprofondò nel buio del settarismo dogmatico. O peggio
ancora nel delirio sanguinoso del terrorismo della Rote Armee Fraktion. E
molti, anche se non tutti per fortuna, di quelli che anni prima erano
scesi in piazza intonando The Times They Are Changing di Bob Dylan si
scoprirono seguaci del maoismo disposti a sacrificare gli insegnamenti
della kritische Theorie sull’altare dell’ortodossia marxista-leninista. E
tuttavia oggi, a mezzo secolo di distanza, è impossibile negare
l’importanza del ‘68 tedesco nel processo di riforma politico e morale,
di quella metanoia tedesca di cui ha parlato Peter Sloterdijk, che ha
fatto della odierna Germania il paese di riferimento dell’europeismo e
dei valori liberal-democratici della tradizione occidentale. Ma un
simile giudizio storico è possibile a patto di rivedere la tradizionale
lettura di quegli anni giudicando dunque il ’68 non già, come suggerisce
una ideologica e ormai datata interpretazione, l’anno della grande
rottura chiamata “opposizione extraparlamentare”, ma piuttosto un
momento di un processo materiale e culturale più complesso e articolato —
quello dei “ lunghi anni ’60” (così Anselm Doering-Manteuffel) — che
aveva trasformato la società tedesca. Di questa metamorfosi il ’68 fu al
tempo stesso fattore di accelerazione e di conclusione: «Il vero ’68 fu
il ’67 che rappresentò il culmine di un processo iniziato nel 1964. Col
1968 ebbe inizio un anno in cui le idee della generazione del ’67
andarono in pezzi, si radicalizzarono o si rovesciarono.
L’antiautoritarismo divenne autoritarismo» (Klaus Hartung). Dai primi
anni ’60, in particolare col processo di Francoforte del 1964 contro i
responsabili di Auschwitz, venne fatta luce su quel “labirinto del
silenzio” costruito nel primissimo dopoguerra tedesco da una società che
aveva cercato di ottenere una collettiva amnistia grazie alla amnesia
collettiva della colpa chiamata Shoah e aveva sperato di cavarsela
sostituendo l’antico antisemitismo col nuovo anticomunismo. L’arrivo
sulla scena di una generazione nata negli ultimi anni della guerra o in
quelli immediatamente successivi segnò una cesura decisiva: «Nel 1967
accadde in Germania qualcosa che può essere paragonato all’Autunno caldo
in Italia o al Maggio del ’68 in Francia. Venne posto all’ordine del
giorno il compito di portare a termine la liberazione del passato
nazista» (Detlev Claussen). E così quella Germania che nel 1950 era
apparsa ad Hannah Arendt incapace di “rielaborare il lutto” per il
«rifiuto profondamente radicato, ostinato e in qualche caso brutale di
confrontarsi e fare i conti con ciò che è realmente accaduto» ( Ritorno
in Germania, Donzelli) voltò pagina. La contestazione studentesca
scardinò le tradizionali coordinate del modo di pensare e di stare al
mondo divenendo nuovo senso comune di massa: il pensiero critico in cui
la lezione di Freud contava quanto quella della tradizione del marxismo
critico penetrò dentro le relazioni personali.
A differenza di
quanto accade col ’68 in Italia o in Francia la metamorfosi della
società tedesca (occidentale) provocò una profonda riforma del lessico
dei rapporti interpersonali. Davvero il privato divenne politico
cambiando la dinamica delle relazioni quotidiane e affettive.
Grazie
al movimento degli studenti termini quali Kindergarten e
Antiautoritarismus conquistarono notorietà internazionale pari a quella
che in passato avevano avuto termini quali Panzer e Blitzkrieg.
Insomma
secondo la celebre formulazione di Jürgen Habermas «i mandarini furono
mandati in pensione». La rivolta studentesca fu dunque al tempo stesso
esito finale e fattore di socializzazione di quello che potremmo
definire la “degermanizzazione” dello spirito tedesco. E al di là e
addirittura anche contro le intenzioni soggettive dei protagonisti
fattore di arricchimento della vita politica e di rafforzamento delle
istituzioni democratiche che gli Alleati avevano imposto alla Germania
dell’Anno zero.
Poi si aprì un nuovo ciclo politico: nel ’69 col
primo governo guidato da Willy Brandt e soprattutto con la sua trionfale
riconferma nella elezione del 1972, la Spd sfiorò la maggioranza
assoluta, ebbe inizio il “dorato decennio” socialdemocratico che
realizzò una radicale democratizzazione della società e delle relazioni
economiche e sindacali che i politologi indicarono come Modell
Deutschland. Del resto non era stato proprio Rudi Dutschke a parlare di
“lunga marcia attraverso le istituzioni”?