Corriere 10.4.18
948-2018 Un estratto del saggio di Sabino Cassese sulla «Rivista trimestrale di diritto pubblico» (Giuffrè)
Tante impronte sulla Carta
Nella Costituzione idee cattoliche, liberali, marxiste. E tracce del fascismo
di Sabino Cassese
Nel
1995, Massimo Severo Giannini, uno degli studiosi che prepararono la
Costituzione, riassumeva così la sua valutazione della Carta
costituzionale del 1948: «Splendida per la prima parte (diritti-doveri),
banale per la seconda (struttura dello Stato), che in effetti è una
cattiva applicazione di un modello (lo Stato parlamentare) già noto e
ampiamente criticato». Da dove è stata attinta questa prima parte
«splendida», quale è stata l’«officina di idee» che l’ha prodotta?
Piero
Calamandrei ha fornito una chiave per individuare le fonti ideali delle
norme costituzionali quando ha detto, nel 1955, che esse furono «il
testamento di centomila morti, scritto con sangue di italiani nel tempo
della Resistenza», ma anche «un punto di ripresa del pensiero
politico-civile italiano, dove parlano le “grandi voci lontane” di
Beccaria, Cavour, Pisacane, Mazzini».
La Costituzione ebbe una
breve gestazione — non più di un triennio —, ma la sua maturazione
ideale non fu altrettanto breve. Essa non nacque come Minerva armata
dalla testa di Giove. Vi sono intessute culture, aspirazioni,
esperienze, ideologie di diversa provenienza, di epoche differenti.
Di
questo contenuto profondo dei principi costituzionali non posso fare
qui che qualche esempio, e soltanto in forma interrogativa, avanzando
ipotesi. Come arriva la diade della Costituzione termidoriana (non delle
precedenti Costituzioni francesi rivoluzionarie) «diritti e doveri»
negli articoli 2 e 4, nonché nel titolo della parte prima della
Costituzione italiana? Non bisogna riconoscere dietro alla formula del
secondo comma dell’articolo 3, quello sull’eguaglianza in senso
sostanziale, la critica marxista della eguaglianza meramente formale
affermata dalle Costituzioni borghesi e il successo che solo pochi anni
prima, nel 1942, aveva avuto anche in Italia il «piano Beveridge» con la
sua libertà dal bisogno? Come spiegare la circostanza che dei 1357
lemmi della Costituzione uno di quelli che hanno il maggior numero di
occorrenze è «ordinamento», senza capire che «così dalla prima
commissione la grande ombra di Santi Romano si estendeva all’Assemblea,
come se il piccolo libro fosse stato scritto a favore dei Patti
Lateranensi», come notato nel suo solito stile immaginifico da La Pira
nel suo intervento sull’articolo 7? Ed è possibile ignorare la lunga
storia del cattolicesimo italiano e del suo rifiuto dello Stato (la
«questione romana»), che si intreccia con l’idea romaniana della
pluralità degli ordinamenti giuridici o ispira le norme dove si afferma,
prima che lo Stato garantisca i diritti o promuova le autonomie, che
questi vadano riconosciuti, e quindi, preesistono allo Stato,
consolidando quindi il pensiero della corrente antipositivistica (perché
lo Stato viene dopo le persone, le «formazioni sociali» e gli
ordinamenti originari non statali)? Si possono comprendere le norme
costituzionali sul patrimonio storico e artistico e sulla scuola
ignorando l’elaborazione, in periodo fascista, a opera di Giuseppe
Bottai, di Santi Romano, di Mario Grisolia, della legislazione sulle
cose d’arte e della «carta della scuola», quindi senza riconoscere che
la Costituzione antifascista ha raccolto anche l’eredità del fascismo?
Infine, come intendere la portata dei programmi economici per
indirizzare a fini sociali l’impresa privata, senza considerare una
duplice esperienza, quella della pianificazione economica sovietica e
quella del New Deal rooseveltiano?
Nel melting pot costituente,
furono raccolte, messe insieme, ordinate queste diverse idee, culture,
esperienze, e altre ancora, che si mescolavano all’esigenza di riportare
libertà e rispetto per i diritti nel Paese. La Costituzione rappresentò
una reazione al regime illiberale fascista, ma fu anche il precipitato
di ideali di epoche diverse (risorgimentale, liberaldemocratica,
fascista), Paesi diversi (specialmente quelli che si dividevano il
mondo, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica), aree diverse (quella
cattolica, quella socialista e comunista, quella liberale), orientamenti
dottrinali opposti (quello statalistico e quello pluralistico).
Calamandrei
ebbe l’intelligenza di riconoscere questo sguardo lungo della
Costituzione, ma — forse prigioniero dell’idea che la Resistenza fosse
un secondo Risorgimento — si fermò alla segnalazione del contributo
ideale di autori lontani, Mazzini, Cavour, Cattaneo, Garibaldi,
Beccaria. Nel discorso del 1955 tralasciò il contributo che proveniva da
altri Paesi e da epoche più vicine, specialmente dal fascismo, un
contributo che prova la lungimiranza degli autori della Costituzione,
antifascisti che recuperarono l’eredità del fascismo (ma questo a sua
volta aveva sviluppato ideali e proposte dell’età liberale).
Questo
risultato non fu sempre positivo, come osservava Giannini, perché la
seconda parte della Costituzione (o, meglio, quella relativa alla forma
di governo) sembrò dimenticare proprio la lezione del passato, come
alcuni costituenti dissero ai loro colleghi, ricordando che anche dalle
debolezze del sistema parlamentare liberale era scaturito il fascismo.
Ciò avrebbe richiesto un sistema di stabilizzazione dei governi, pure
auspicato da molti (e anzi accettato in linea di principio dalla ampia
maggioranza che votò l’ordine del giorno Perassi), secondo il quale il
sistema parlamentare doveva avere «dispositivi idonei a tutelare le
esigenze di stabilità dell’azione di governo e a evitare degenerazioni
del parlamentarismo».
Come osservava Paolo Ungari molti anni or
sono, «l’intera vicenda della cultura giuridica italiana fra le due
guerre dovrebbe essere attentamente ripercorsa, e non solo al livello
delle discussioni universitarie, per rendersi conto del patrimonio di
idee e di tecniche degli uomini che sedettero nelle varie commissioni di
studio del periodo intermedio, dalla commissione Forti a quella sulla
“riorganizzazione dello Stato”, nonché alla Consulta e alla Costituente
stessa».