Repubblica 10.4.18
Occhio alla penna
La bellezza (e l’utilità) dello scrivere a mano
di Giuliano Aluffi
La
scrittura manuale va salvata, per quanto superata possa apparire
nell’era multimediale di WhatsApp, Instagram e YouTube, non solo per
motivi storici o estetici, ma soprattutto perché aiuta a pensare e a
ricordare, e quindi può renderci persone più attive e più capaci
rispetto ai tastiera-dipendenti. A sottolinearlo è il simposio
“Ri-Trascrizioni, la scrittura manuale tra storia, arte e neuroscienze”,
in programma oggi all’Università di Pavia: nuova tappa di un progetto
di esaltazione del valore cognitivo della scrittura già attivo in più
città. «Ri-Trascrizioni - idea di Antonello Fresu, psichiatra e artista
visivo – consiste nell’esporre in pubblico capolavori letterari perché
tutti possano trascriverne a mano una parte» spiega Gabriella Bottini,
docente di neuropsicologia all’Università di Pavia. «In questo momento
in Sardegna, al museo della tonnara di Stintino, si sta ultimando la
copia di Lo sa il tonno di Bacchelli. Alla casa della psicologia di
Milano è in corso la copia di Uno, nessuno e centomila di Pirandello.
All’Università
di Pavia lanciamo oggi la copia degli Esercizi di stile di Queneau».
Difendere la scrittura manuale in tempi sempre più digitali non è una
sterile concessione alla nostalgia, ma un vero e proprio favore che
facciamo a noi stessi: «Scrivere a mano può essere vantaggioso per
l’attenzione, la cognizione e la memoria» spiega Gabriella Bottini. «E
lascia una traccia che ci aiuta a migliorarci: mentre l’editing al
computer e il correttore automatico, fanno svanire nel nulla i nostri
errori, come se non fossero mai esistiti.
Esponendoci al rischio
di ripeterli». Carta e penna aiutano a ricordare. «Quando prendiamo
appunti a mano durante una lezione, la lentezza dell’atto ci obbliga a
selezionare molto» spiega Daniel Oppenheimer, docente di psicologia alla
University of California e autore di diversi studi sul tema. «E questo è
cruciale per fare propria la lezione, perché dobbiamo pensare a ciò che
ascoltiamo, quanto basta per poterlo trascrivere con parole nostre».
Il
computer ci rende più veloci ma anche più scervellati: «Diventa
difficile resistere alla tentazione di trascrivere bovinamente tutto
quello che dice il docente. Io stesso, se prendo note al computer, non
posso fare a meno di trascrivere in maniera pressoché letterale»
confessa Oppenheimer.
«Apprendere è faticoso, e il nostro cervello
cerca scorciatoie ogni volta che può. Scrivere a mano ci toglie la
scorciatoia della trascrizione senza pensieri».
«Vale anche per la
trascrizione al computer di lezioni registrate in classe: la
registrazione facilita il compito dello studente, ma nello sbobinare c’è
una passività che stimola meno il cervello» spiega Gabriella Bottini.
«Invece prendere appunti a mano è qualcosa di più attivo e coinvolgente,
assomiglia di più a ciò che si chiama chuchotage, la traduzione in
tempo reale che gli interpreti fanno bisbigliando all’orecchio di chi
deve intendersi in lingue diverse.
Attività che costringe a una
valutazione, seppure sommaria, di ciò che si vuole riportare». E poi c’è
un altro aspetto importante ai fini della memoria: «Nello scrivere a
mano, lo sguardo è puntato sulla mano che guida la penna sul foglio. La
punta della penna è il luogo dove convergono sia l’atto motorio che
quello visivo. Se scriviamo al computer, invece, la mano corre sulla
tastiera ma lo sguardo è rivolto altrove, al monitor» sottolinea
Bottini.
«Questa divergenza tra occhio e mano può penalizzare la
memoria, perché diminuisce quella che nel gergo dei neurologi chiamiamo
integrazione multisensoriale: se riusciamo a mettere insieme in una sola
esperienza più stimoli di diverso tipo – visivi, uditivi, motori,
tattili, olfattivi – allora i tempi di richiamo dei ricordi, e la loro
qualità, possono essere migliori». Perché il ricordo avrà più “maniglie”
per essere ripescato. Magari insieme a un bel voto.