mercoledì 4 aprile 2018

La Stampa TuttoScienze 4.4.18
Quando i Sapiens impararono la gentilezza
Nel Dna le prove di come ci siamo addomesticati da soli per diventare più empatici e socievoli
di Gabriele Beccaria


Noi umani siamo i cagnolini giocosi, mentre i Neanderthal sono stati i lupi feroci. Ecco un modo originale di considerare noi stessi, la specie Sapiens apparsa all’incirca 200 mila anni fa. Traducendo la metafora, si approda subito a una battuta: siamo l’unica specie conosciuta che si è addomesticata da sola.
Abbiamo cominciato con gli antenati dei cani e abbiamo proseguito - negli ultimi 30 mila anni - con molti altri animali, dalle pecore alle mucche e ai cavalli. Ma molto prima avevamo costretto noi stessi a un esperimento simile. Andato a buon fine intorno a 100 mila anni fa. Ci siamo selezionati a vicenda, sfruttando inconsapevolmente le forze dell’evoluzione. E ora, nell’anno 2018, eccoci qui: i geni nelle cellule, i tratti dei volti e i comportamenti sociali sembrano - tutti insieme - confermare una metamorfosi che potrebbe risolvere molti misteri sulle nostre caratteristiche tanto uniche.
Cedric Boeckx è un paleoantropologo della Universidad de Barcelona e ammette che molti potrebbero non gradire l’idea, appena pubblicata sulla rivista «Plos One». Abituati a pensarci come esseri violenti e brutali, forse responsabili dell’eliminazione di tutti gli altri ominidi che condividevano con noi il Pianeta, a cominciare dai Neanderthal, questa nuova visione sembra uno stonato revival romantico, un inno fuori tempo alle nostalgie dei figli dei fiori. Eppure molti indizi suggeriscono che non è così: se a sopravvivere nel passato prima della storia sono stati i più adatti, questi individui erano anche i più «docili».
Boeckx ha confrontato i genomi degli umani moderni con quelli di diverse specie addomesticate e dei corrispettivi selvatici: obiettivo era individuare la presenza di geni più «tardivi», associati proprio ai processi di domesticazione, dalla tendenza alla docilità alla fisiognomica gentile. La scoperta è stata una sorpresa anche per lo studioso catalano. Quegli specifici geni esistono e si trovano tanto negli animali che hanno imparato a convivere con noi quanto negli umani di oggi, mentre sono assenti nei Neanderthal, con i quali, peraltro, condividiamo un altro significativo set di geni, variabile, a seconda dei luoghi e delle popolazioni, tra l’1 e l’8% dell’intero Genoma.
«Una ragione per cui sosteniamo la nostra tesi è legata a come ci comportiamo: siamo tolleranti e le abilità cooperative e pro-sociali si rivelano come elementi-chiave della cognizione che ci contraddistingue - spiega Boeckx -. La seconda ragione è che gli umani moderni, quando vengono paragonati ai Neanderthal, presentano un fenotipo decisamente più gracile, che assomiglia a quello osservato negli animali addomesticati, quando li si confronta con i “cugini” allo stato selvaggio».
E allora ecco un dato prezioso in grado di svelare un enigma sul cervello. Se è di certo sofisticato e iper-connesso, perché è più piccolo di quello degli sfortunati Neanderthal? Un motivo è racchiuso nell’insieme della nostra testa, che si è ridisegnata un po’ alla volta. La scatola cranica è diventata più regolare e l’arco sopracciliare si è ridotto, mentre il mento si è spostato in avanti e i denti si sono rimpiccioliti. Dal nostro punto di vista siamo diventati belli e attraenti. Dal punto di vista delle leggi darwiniane abbiamo favorito i tratti, fisici e psicologici, che facilitavano i rapporti sociali nella stessa tribù e gli incontri casuali con gli sconosciuti, ampliando le reti di contatti e quindi di scambi di saperi.
Boeckx conferma così, in via indiretta, l’«ipotesi della cresta neurale». Ideata da un altro antropologo, l’americano Richard Wagram, sostiene che le trasformazioni di questa struttura embrionale - che si differenzia nella quarta settimana di gestazione - sono legate ai processi di addomesticamento: se è da lì che si sviluppano i neuroni dei gangli cerebrospinali e le cellule della ghiandola surrenale, e di conseguenza le «scariche» di stress e paura, i nostri antenati hanno involontariamente favorito gli esemplari di animali con meccanismi «soft». Lo stesso - aggiunge - sarebbe avvenuto in noi. Finché, 100 mila anni fa, la nostra metamorfosi si è compiuta e la fragile farfalla che riposava in noi ha cominciato a volare. E 60 mila anni fa, finalmente, ha prodotto la prima arte.