lunedì 9 aprile 2018

La Stampa 9.6.18
Il trionfo di Orban, Ungheria ai suoi piedi
Al partito Fidesz la maggioranza assoluta. Il premier: “Ora salveremo il Paese”. Al secondo posto i nazionalisti di Jobbik
di Monica Perosino


A una delle campagne elettorali più dure di sempre gli ungheresi hanno risposto in massa. E hanno risposto con un voto che incorona con un plebiscito l’uomo della «democrazia illiberale», il premier Viktor Orban che conquista il quarto mandato, il terzo consecutivo.
La partecipazione al voto per il rinnovo del Parlamento di Budapest ha registrato un’affluenza record che ha sfiorato il 70%, con oltre 5,5 milioni di elettori.
Era stato il 61,73% nel 2014. È la più alta mai registrata nella storia dell’Ungheria dalla caduta del comunismo, la più alta da quando esistono elezioni libere e democratiche.
In serata, ben dopo la chiusura ufficiale dei seggi, in alcuni distretti, come a Bocskai, erano migliaia le persone che ancora aspettavano di votare. E durante la giornata l’attesa media per poter esprimere il proprio voto andava dalle due alle tre ore, con code interminabili che si allungavano per diversi isolati. L’affluenza più alta si è registrata soprattutto nella capitale Budapest e nelle grandi città ma non in campagna, roccaforte tradizionale di Fidesz, il partito del premier. L’opposizione parlava di «clima di cambiamento». Ma si sbagliava. Il partito del premier Fidesz ha stravinto e ha conservato il primo posto, superando di gran lunga il numero di seggi necessari alla maggioranza assoluta. Orban potrebbe aver conquistato il 50% delle preferenze e, con i Cristiano democratici, avrebbe almeno 133 seggi su 199. Ancora meglio delle elezioni di quattro anni fa, quando ottenne 129 seggi. Orban potrebbe aver raggiunto il suo obiettivo, la quota dei due terzi del Parlamento. Il secondo posto sarebbe andato a Jobbik di Gabor Vona, partito di estrema destra nazionalista, ma non più euroscettico, che ha promesso una lotta contro la corruzione del «sistema Orban». A seguire l’alleanza socialista-verde (Mszp-P) e le altre formazioni politiche.
Il premier Viktor Orban, l’uomo forte dell’Ungheria, ha ottenuto quello che con così tanta rabbia e determinazione ha cercato: il suo quarto mandato, il terzo consecutivo. All’inventore della «democrazia illiberale», non bastava una vittoria, cercava il trionfo. E lo ha ottenuto: «È stata una guerra dura, ma abbiamo vinto. Ora possiamo salvare l’Ungheria» ha detto ieri notte di fronte a una folla in festa.
Da oggi potrà di fare il bello e il cattivo tempo in Parlamento. Orban ci era già riuscito nel 2014, ottenendo una maggioranza così schiacciante – anche grazie a una legge elettorale fatta apposta per lui - da controllare i due terzi del parlamento: una strada libera e senza ostacoli per modificare la Costituzione, limitare l’azione dei media «ostili», gli «infiltrati» di Soros, e far passare molte delle riforme che fanno tremare l’Europa.
Venerdì sera le sue ultime parole prima del silenzio elettorale erano state: «Con questo voto il futuro dell’Ungheria sarà irreparabilmente determinato per molti decenni a venire. Se la diga viene aperta, se si aprono i confini, se i migranti entrano nel Paese, non c’è modo di tornare indietro».
È sulla paura dei migranti che il premier Viktor Orban si è giocato tutto.
La battaglia «necessaria» contro i «profughi musulmani», i «nemici dell’Ungheria cristiana e bianca» è stato il mantra di una campagna elettorale che ha raggiunto picchi di tensione altissimi. In questo senso le elezioni sono state anche un referendum su Orban, sul suo muro di 175 chilometri «per fermare l’invasione» e sull’Europa, che vorrebbe costringere Budapest ad accettare il sistema delle ricollocazioni.
Il nuovo governo avrà subito a che fare con un problema «esterno»: la spallata potrebbe arrivare proprio dall’Europa. Giovedì la commissione Libertà civili del Parlamento europeo discute la bozza di risoluzione sulla situazione in Ungheria, per valutare si ci sono violazione gravi dei principi fondamentali.
La commissione potrebbe portare alla sospensione del diritti di voto al Consiglio in base all’articolo 7 del Trattato.