Corriere 9.6.18
I partiti, l’Europa
il difficile impatto con le cifre
di Ferruccio de Bortoli
Il
Portogallo è uno splendido Paese. Vi risiedono migliaia di pensionati
italiani ai quali della flat tax non importa nulla avendo l’esenzione
fiscale per dieci anni. Nel 2011 era sull’orlo del crollo, un po’ come
l’Italia del governo Berlusconi. Invocò l’aiuto dell’Europa che concesse
un credito di 78 miliardi. Lisbona accettò tutte le condizioni dei
creditori e, dopo tre anni, uscì dal programma di assistenza
finanziaria. Alle elezioni del 2015, la coalizione di governo
(centrodestra) arrivò prima ma senza ottenere la maggioranza. Poco
davanti all’alleanza di centrosinistra, che aveva fatto dell’opposizione
al rigore la propria bandiera elettorale. Ma erano stati i socialisti,
con il premier Socrates, a chiedere nel 2011 l’intervento europeo. E ne
pagarono subito un prezzo politico: dovettero cedere la guida del
governo ai liberali e moderati di Passos Coelho. Cambiarono poi
posizione, dissero no all’austerità ma persero voti. Comunisti e verdi,
da sempre contrari all’euro e persino alla Nato, ricevettero invece
numerosi consensi. E divennero decisivi per la formazione del nuovo
governo.
Andato a vuoto il tentativo di una grande coalizione,
l’allora presidente della Repubblica Cavaco Silva (si trovava in quello
che noi chiameremmo il semestre bianco) diede l’incarico al socialista
Costa di formare l’esecutivo con l’appoggio esterno delle due formazioni
di estrema sinistra. Ma solo dopo essersi sincerato che venissero
accettate alcune condizioni.
La principale: non disperdere i
sacrifici delle riforme e i vantaggi del consolidamento fiscale. Quindi,
approvare la legge di bilancio con gli obiettivi già fissati in
precedenza; rispettare i vincoli dell’eurozona, inclusa la rinuncia alla
ristrutturazione del debito, sventolata in campagna elettorale come
inevitabile dal Blocco di Sinistra; permanenza del Portogallo nella
Nato.
Il governo Costa non ha però rinunciato, in questi anni, a
rimodulare la spesa pubblica, ad aumentare le pensioni più basse e a
elevare il salario minimo, un seppur pallido reddito di cittadinanza. La
ripresa dell’economia del Portogallo è stata semplicemente
spettacolare. Il deficit si è ridotto, la disoccupazione è scesa. Il
turismo esploso, le esportazioni a gonfie vele. Dopo Irlanda e Spagna,
quella del Portogallo è stata la ricetta di ristrutturazione economica
europea di maggior successo. Il ministro delle Finanze, il tecnico
indipendente Centeno, è ora il presidente dell’Eurogruppo. Il suo
collega tedesco, il falco per antonomasia Schäuble, disse di lui che era
come Cristiano Ronaldo. Per la straordinaria rovesciata (ci perdonino i
tifosi juventini) impressa all’economia portoghese. La buona austerità
fa bene. Si tagliano le spese improduttive e si promuovono gli
investimenti nel quadro delle compatibilità di bilancio e dei vincoli
europei senza i quali il Portogallo sarebbe stato abbandonato, anche dai
mercati, al suo destino. Si pensava poi che il nuovo capo dello Stato
portoghese, il conservatore Rebelo de Sousa, sostenuto pubblicamente
anche dall’ex allenatore dell’Inter Mourinho, potesse sciogliere il
Parlamento e mandare a casa gli estremisti. Si è ben guardato dal farlo.
Come
si può constatare, le analogie con la situazione italiana non mancano.
Certo a Lisbona non ci sono partiti formalmente populisti, ma certamente
in origine euroscettici. C’è una dinamica ancora sostanzialmente
bipolare fra conservatori e socialisti. Il capo dello Stato viene eletto
direttamente. Il successo lusitano è stato reso possibile anche grazie
al pragmatismo di alcune forze politiche radicali che hanno cambiato le
loro idee. In campagna elettorale non è proibito sognare. Al governo si
fanno i conti con i numeri. Con la dura realtà. E chi poi ottiene buoni
risultati non perde voti. Anzi, li guadagna come dimostra l’esperienza
del socialista Costa.
Questa presa d’atto, nel dibattito politico
italiano, non è ancora avvenuta. Si continua a discutere in assenza di
gravità, sospesi nella rappresentazione fiabesca delle promesse. Nel
primo giro di consultazioni il presidente Mattarella ha esercitato una
preziosa funzione maieutica. E, come ha scritto sul Corriere Marzio
Breda, non ha mancato di ricordare ai suoi interlocutori i vincoli
europei e gli impegni internazionali dell’Italia. Immaginiamo che nel
secondo, da giovedì prossimo, possa continuare nella sua opera di
educazione politica, nel suo esercizio di sano realismo. L’esperienza
positiva del suo omologo portoghese è certamente utile. E persino
incoraggiante. Essendo il massimo garante della Costituzione, pensiamo
che Mattarella non trascurerà di parlare con i propri ospiti del dettato
dell’articolo 81, modificato nel 2012 per introdurre il pareggio di
bilancio strutturale (cioè al netto del ciclo e delle misure una
tantum). Votarono a favore quasi tutti — salvo poi in parte pentirsi —
dal Pd all’allora Pdl, meno Lega e Italia dei Valori. La Lega in prima
lettura si dichiarò favorevole. «L’approvazione, all’unanimità — disse
il leghista Giancarlo Giorgetti, presidente della Commissione bilancio
della Camera — della proposta di legge volta a dare attuazione al
principio del pareggio di bilancio, rappresenta un punto di equilibrio
che testimonia, in un momento particolarmente delicato... il senso di
responsabilità di tutte le forze politiche». Il senso di responsabilità,
appunto. Coraggio, l’impatto con la nuda e dura terra dei numeri si
avvicina .