La Stampa 8.4.18
Budapest e gli studenti di Soros. la frontiera che resiste a Orban
Oggi il voto in Ungheria, nell’ateneo parte la sfida: “Il premier ci chiama spie”
di Monica Perosino
A
Budapest, sotto il cielo grigio della vigilia elettorale, qualcuno
spera che il risultato non sia ancora scritto. A centinaia si sono dati
appuntamento sotto una pioggia intermittente a Olof Palme setany, nel
quartiere Varosliget, per marciare in un «carnevale dei diritti contro
il regime di Orban» spiega Márton Gulyás, 32 anni, regista e attivista.
Una chiamata al voto «per rovesciare il sistema corrotto di Fidesz».
Dietro gli striscioni ci sono le ong, gli studenti universitari, le
piccole sigle politiche dell’opposizione. In un unico corteo si sono
dati appuntamento tutti i nemici di Viktor Orban.
Oggi l’Ungheria
deciderà se consegnare al primo ministro il quarto mandato dal 1998, il
terzo consecutivo. Secondo la maggior parte dei sondaggi, il leader del
partito Fidesz raggiungerà il suo obiettivo con circa il 50% dei voti.
L’unica forza in grado di dargli fastidio è il partito nazionalista di
estrema destra Jobbik.
Il «Viktator» - come lo chiamano gli
oppositori - del muro anti-migranti e del sovranismo assoluto ungherese,
ha chiuso la dura campagna elettorale con la promessa di «occuparsi»
dei suoi nemici. E il nemico numero uno è il miliardario filantropo
americano-ungherese George Soros, che attraverso le Ong e l’università
internazionale, «usa 2000 agenti infiltrati per trasformare l’Europa in
Paesi di immigrati».
Sophie ed Emmanuel, lei di Marsiglia, lui
della Normandia, aspettano di fronte alla scritta colorata «Budapest»
alla fine di «Vaci utca»: «Ecco, siamo due dei 2000 agenti infiltrati di
Soros». Ridono, ma intanto sono preoccupati. «Siamo studenti della
Central European University, quella che Orban vorrebbe chiudere».
L’Università internazionale, tra le migliori europee, è finanziata da
Soros, e ospita circa 1500 studenti da 110 Paesi. Sophie, che studia
Scienze sociali, collabora anche con una Ong: «La pressione è altissima,
per il governo rappresento il diavolo. Ma noi vogliamo solo studiare».
Lo
scorso 14 febbraio il governo ha presentato al parlamento una legge che
prende di mira le persone e le Ong che «promuovono» l’immigrazione. Il
progetto di legge, che già dal nome - «Stop Soros» - non lascia
fraintendimenti. Vuole impedire l’accesso alle zone di frontiera alle
Ong, ed esige il 25% di quanto percepiscono dai finanziatori esteri. Non
solo, gli atenei stranieri dovranno avere una sede anche nel Paese di
provenienza: la Ceu sarebbe l’unica istituzione colpita.
Nella
cosmopolita Budapest nulla farebbe pensare che la partita sia già
chiusa. Ma non è qui - dice Bianka, 27 anni, commessa - la vera
Ungheria: io vengo da un paesino del Nord dove non c’è ancora
elettricità in tutte le case, dove nessuno parla inglese. Siamo isolati,
e la percezione di quello che succede è manipolata».
In nome
della «difesa della patria» e dei «valori cristiani» il governo di Orban
ha messo all’angolo i media e ha rifiutato il multiculturalismo. «Non
vogliamo che il nostro colore si mischi», ha detto, tanto che l’Alto
commissario dei diritti umani Onu, Zeid Ra’ad Al Hussein, lo ha definito
«razzista». Tra i suoi simpatizzanti ci sono Marine Le Pen, il Partito
della libertà austriaco, l’AfD tedesco, l’ex leader dell’Ukip britannico
Nigel Farage. «Si stanno talmente simpatici - dice Ivett Korosi,
analista e giornalista -: che l’immagine per la campagna di Orban sono
le stesse usate per la Brexit da Farage».
«La cosa grave -
spiegano gli analisti della Ong Migszol - è che l’effetto della campagna
d’odio si vede ormai nella vita quotidiana: un cittadino nel panico ha
telefonato alle due di notte alla polizia per avvertire che i migranti
stavano attraversando Pécs su due minibus bianchi. Erano giocatori di
pallanuoto che tornavano da una trasferta».