La Stampa 8.4.18
“Accordo possibile ma senza Renzi”
La linea Maginot dei militanti grillini
A Ivrea trionfa il pragmatismo: con i dem più facile arrivare al reddito di cittadinanza
di Andrea Rossi
Pronti,
lo sono. Con chi ci sta: chiunque sia, o quasi. Stefano Baudino,
aspirante giornalista di 23 anni: «Adesso il Movimento ha la
responsabilità di dare una risposta a milioni di persone che si sono
affidate a lui. Sarebbe assurdo, da primo partito italiano, isolarsi e
stare all’opposizione. No, stavolta non ci si può davvero chiamare
fuori».
Più Di Maio, meno Di Battista: infatti il «Dibba» non c’è e
di suoi supporter, a intuito, se ne vedono pochi. Meno popolo, più
classe dirigente, produttiva e pensatrice. Meno nerd, più abiti
eleganti. Quanto sono lontani i tempi del «Vaffa». Del «noi» o «loro».
Il popolo del Movimento 5 Stelle - ma qui, è bene dirlo subito, c’è
quasi soltanto l’élite - si è fatto istituzionale come il suo attuale
leader. Misura le parole, le pesa. I partiti non sono più il demonio.
Concetti come «dialogo» e persino «accordo» sono pienamente sdoganati.
«Alleanza» no: non se ne parla. Non ancora, almeno.
Di aziendale,
la convention organizzata a Ivrea da Davide Casaleggio per ricordare il
papà Gianroberto, ha anche il linguaggio del popolo degli attivisti,
sostenitori, simpatizzanti. «Contratto» è la parola magica,
l’apriscatole: «Sì, come si fa tra aziende: una lista di impegni da
rispettare, tempi e modalità. Stop», dice William Benetti, 21 anni,
studente.
Dentro le ex officine dell’Olivetti si certifica
l’ultima metamorfosi dell’universo Cinquestelle: non si discute se il
Movimento andrà al governo. Si discute a quali condizioni. E con chi.
Non è una svolta da poco, anche se dello spirito originario qualcosa è
rimasto. Il no alle alleanze, ad esempio. E il rifiuto di certi compagni
di viaggio. Uno su tutti: «Con Berlusconi mai, sia chiaro. Se c’è lui
non ci siamo noi». Jonas Di Gregorio, attivista di Velletri, dà fiato
alla linea Maginot del Movimento. «Rappresenta tutto quel che non ci
appartiene. E poi, come faremmo le leggi anti corruzione, sul conflitto
d’interessi e sulla riforma della giustizia? Il Movimento perderebbe
milioni di voti, compreso il mio».
Fedeli alla linea del capo
politico: un conto è l’intesa per spartirsi la presidenza delle Camere,
altro è un accordo - in base a pochi e selezionatissimi punti - su cui
costruire un governo. «Abbiamo già dato con la Casellati», ride Ottavia
Pilastri. «Ora con Forza Italia nemmeno un caffè». Capitolo chiuso, par
di capire. D’accordo, e con il Pd? Qui appare subito chiaro che il muro
non è più così solido. Ha ceduto un poco. «Basta sentire che cosa dice
Di Maio negli ultimi giorni», ragiona Fabrizio Bertellino, ingegnere
astigiano, militante di vecchissima data. «A me sembra ci sia una
preferenza verso il Pd, però alla fine tocca a loro scegliere». Agli
altri partiti. «Nessuno ha mandato il Pd all’opposizione. Certo, Renzi
che si allea con noi è qualcosa che va contro le leggi della fisica».
Già, ma se Renzi scomparisse come d’incanto allora tutto diventa
possibile nell’universo Cinquestelle. «Se il Pd è rappresentato da
Michele Emiliano o da qualcuno che la vede come lui, perché no?»:
Stefano Baudino dà una prima picconata al muro. Jonas Di Gregorio ne
rifila un’altra: «Se non c’è Renzi, si può discutere».
Non
esprimono un’intenzione, un orientamento. Solo un ragionamento freddo e
un po' cinico, che trae linfa da una convinzione: si sentono baricentro,
pensano che niente oggi possa nascere senza di loro. E dunque si
piazzano nel mezzo della scena, con il piglio di chi distribuisce le
carte: «Noi non proponiamo un’alleanza», dice Bertellino. «Il punto è
quali aspetti del nostro programma possiamo portare avanti e con chi. È
chiaro che con il Pd o la Lega non faremmo le stesse cose». Il fatto è
che l’uno o l’altro sembra politicamente indifferente e irrilevante;
l’importante è esserci. L’intesa si farà con chi aderisce alla
piattaforma: pochi punti condivisi e un contratto a certificarli. «Il
fatto è che Renzi è ancora lì e il Pd sembra aver deciso di stare
all’opposizione, sperando di recuperare qualche voto», riflette Monica
Valsisi. E allora resta la Lega, ma è in atto un rovesciamento di
prospettiva rispetto alle logiche consolidate: «Abbiamo proposte che ci
avvicinano ad alcuni partiti: partiamo da quelle e sigliamo un accordo
con chi ci sta», insiste William Benetti. «È chiaro che con la Lega si
privilegerebbero le imprese; con il Pd sarebbe più facile introdurre il
reddito di cittadinanza. Però dipende da loro».
Noi ci siamo e
siamo disponibili, se non funziona sarà colpa degli altri che si sono
chiamati fuori: sembra un ritornello mandato a memoria, invece è un
orientamento diffuso, condiviso, quasi unanime. Un possibile (e
ulteriore) argomento per un’eventuale nuova campagna elettorale: «Non so
dove ci porterà questo percorso», dice Fabrizio Bertellino, «ma adesso
la grande responsabilità è nelle mani di chi è stato chiamato a un
dialogo e si sottrae o si accosta con argomenti buoni soltanto a farlo
naufragare». Lo schema è dichiarato: se nascerà un governo sarà merito
nostro; altrimenti sarà colpa loro.