La Stampa 5.4.18
Un algoritmo per i valori dell’Occidente
di Christian Rocca
In
Divertirsi da morire, un saggio sulla televisione scritto nel 1985,
quando Internet era ancora roba per scienziati, il critico americano
Neil Postman diceva che dei due grandi romanzi distopici del Novecento,
1984 e Il Mondo Nuovo, il più realistico non era quello di George
Orwell, come si credeva, ma quello scritto da Aldous Huxley. Per
ricapitolare la tesi analogica di Postman sulla società occidentale, e
aggiornarla al nostro tempo digitale, un recente articolo del Guardian
ricordava che Orwell, con 1984, immaginava che la civiltà moderna
sarebbe stata distrutta dalle nostre paure.
In particolare quella
di essere sorvegliati e di essere controllati psicologicamente dal
famigerato Grande Fratello, mentre Huxley, con Il Mondo Nuovo, spiegava
che la rovina dell’umanità sarebbe arrivata dalle cose che ci piacciono e
ci divertono perché l’intrattenimento è uno strumento di controllo
sociale più efficiente della coercizione. Huxley ci aveva preso più di
Orwell, insomma, ma quello era ancora, soltanto, il tempo della
televisione. Poi è arrivato Internet, notava il Guardian, una tecnologia
che in un colpo solo ci ha regalato entrambi gli incubi immaginati dai
due romanzieri inglesi, sia la sorveglianza da parte di Stati e
corporation, come temeva Orwell, sia la dipendenza passiva da app e
strumenti tecnologici simile agli effetti sedativi e gratificanti della
droga «soma» che, secondo Huxley, possedeva tutti i vantaggi della
cristianità e dell’alcol, senza averne nessuno dei difetti.
Siamo
davvero arrivati al punto in cui Internet è diventato lo strumento di
demolizione della nostra civiltà? L’egemonia del web ha seriamente
compromesso il futuro della società liberale? Gli argomenti
catastrofisti sono sotto gli occhi di tutti e non bisogna essere
luddisti o reazionari per accorgersi che l’ideologia dell’algoritmo,
l’abuso e la manipolazione dei dati personali e le tecniche di
persuasione digitali stiano modificando comportamenti, abitudini e
tessuto sociale del mondo occidentale. La lista delle recriminazioni è
lunga: il disordine creato da Wikileaks negli apparati diplomatici e di
sicurezza, la diffusione delle fake news, l’ininfluenza dei dati di
fatto nel dibattito pubblico, l’automazione che riduce i posti di
lavoro, le ideologie politiche sostituite da algoritmi che pescano i
sentiment sulla Rete. E, ancora, l’interferenza cibernetica di Mosca nei
processi democratici dell’Occidente, il caso dei 50 milioni di profili
Facebook finiti a insaputa degli utenti nei server di Cambridge
Analytica e poi utilizzati per indirizzare il voto negli Stati Uniti e
altrove, forse anche in Italia.
Tutto vero, e molto pericoloso. Ma
non si può negare che la Rete sia una delle più strabilianti
innovazioni di sempre. Il culto del web è il prodotto dell’etica
libertaria degli Anni Sessanta e dello spirito del capitalismo delle
origini; è l’antidoto al mondo scongiurato da Orwell e Huxley; è lo
strumento congegnato per sconfiggere il totalitarismo e poi sviluppatosi
intorno all’idea che la libera circolazione delle informazioni fosse di
per sé un fattore di progresso, di conoscenza e di partecipazione alla
vita pubblica. Il problema è che ci accorgiamo soltanto adesso che con
l’informazione circola anche la disinformazione e che l’accesso
istantaneo a questa massa non filtrata di dati attenua la capacità
dell’individuo di selezionare, di valutare, di discernere.
Paradossalmente oggi siamo più ignoranti di prima, le società dispotiche
sono più solide, quelle aperte più manipolabili e l’indebolimento dei
corpi intermedi ha plasmato un sistema modernissimo, ma impaurito e
senza punti di riferimento.
Questa è la questione decisiva della
nostra epoca e il guaio è che non si vede ancora una classe dirigente in
grado di codificare le nuove consuetudini digitali, di rimettere in
carreggiata il futuro e di riconciliare il progresso tecnologico con il
rispetto dello Stato di diritto. Di sicuro c’è che non si può tornare
indietro, perché la formula «innovazione più globalizzazione» ha creato
opportunità, distribuito benessere e liberato miliardi di persone dalla
povertà. Questa formula, oggi sotto accusa, è l’algoritmo
dell’Occidente: avete presente le alternative?