La Stampa 3.4.18
La rivolta degli Intoccabili di Gandhi
“Picchiati e discriminati per legge”
India,
colpo di spugna della Corte contro chi perseguita un Dalit In tutto il
Paese scoppiano le proteste della casta più umile: sei morti
di Carlo Pizzati
Hanno
riempito le strade armati di spade, bastoni, aste portabandiera, mazze
da cricket e da baseball. Tra spari, incendi e scontri con la polizia,
hanno bloccato strade principali, uffici governativi e più di cento
treni in diversi Stati dell’India. A terra, alla fine di un lunedì di
fuoco, sono rimasti i corpi di sei Dalit, che in Occidente chiamano
ancora con il termine derogatorio di «Intoccabili», la casta più umile
di un sistema dove in teoria la discriminazione di casta non deve
esistere più per legge.
Sono decine i feriti negli scontri
scatenati dallo sciopero generale e dalla serrata nazionale, promossi
dalla casta più maltrattata d’India: esami di maturità rimandati nel
Punjab, morti nel Madhya Pradesh, Uttar Pradesh e Rajasthan, treni
bloccati nel Bihar.
Il verdetto
La causa dell’esplosione di
rabbia nel sub-continente è una decisione della Corte Suprema di Delhi
che, con un verdetto emesso il 20 marzo, ha proibito l’arresto immediato
di persone accusate di violenza contro i Dalit. Per capirci meglio, ciò
significa che, prima, chiunque venisse colto in fragrante a picchiare o
tentare di uccidere un Dalit veniva arrestato immediatamente. Ma, ora,
la Corte Suprema ha diluito l’efficacia di una legge creata per tutelare
i Dalit, lasciando un margine più ampio a chi commette violenze contro
di loro.
In teoria è una decisione garantista, in quanto la Corte
specifica che sarebbe più prudente che fosse un alto ufficiale di
polizia a verificare i fatti prima di ordinare un arresto. Ma nel
contesto indiano il segnale è chiaro: gli appartenenti alla casta più
umile saranno meno protetti dalla legge.
I divieti
Stiamo
parlando di una categoria che comprende 200 milioni di cittadini, un
sesto della popolazione indiana, persone spesso trattate come servi,
gente che per i «casteisti» deve solo pulire le fogne, le strade, le
case. Sono cittadini indiani a cui, in realtà, nella vita reale, lontana
dai dettami della Costituzione, è spesso proibito bere dallo stesso
bicchiere, anche se lavato, di quello di un appartenente a una casta più
alta, e a cui è proibito addirittura sedersi nelle stesse seggiole di
chi è di casta più elevata. L’India di oggi è ancora così, nonostante la
Carta costituzionale consideri inequivocabilmente fuorilegge queste
discriminazioni.
Annacquare le norme
Il leader
dell’opposizione Rahul Gandhi, figlio di Sonia Gandhi, ha criticato il
governo per non essersi opposto con abbastanza fermezza a questa svolta
legislativa: «Perché annacquare una legge che protegge i Dalit proprio
quando le atrocità nei loro confronti sono in aumento?».
I dati
gli danno ragione. Secondo il National Crimes Record Bureau, l’ente che
documenta i crimini in tutto il Paese, da quando il partito dei
fondamentalisti indù del Bjp è al potere, le violenze contro i Dalit
sono aumentate. E il 90 per cento dei 145 mila casi di violenze
anti-casta è ancora in attesa di processo.
Per entrare
nell’assurdità del contesto, nel Gujarat occidentale la settimana scorsa
un Dalit è stato picchiato a morte solo perché era in possesso di un
cavallo. Che era suo. Regolarmente acquistato. Ma secondo gli
estremisti, un Dalit non può né salire, né essere proprietario di un
cavallo, prerogativa unica delle caste più alte.
Già nel gennaio
scorso, i Dalit si erano scontrati con i fondamentalisti a Mumbai, con
conseguenti feriti e danni. Questo perché da due secoli i Dalit
celebrano un’antica battaglia tra gli imperialisti britannici e la casta
indù dei Peshwas. All’epoca, i Dalit combatterono dalla parte dei
britannici e contro gli oppressori induisti. E quindi i Dalit fanno
annualmente festa a favore degli ex colonizzatori britannici,
scontrandosi sempre, e quest’anno anche con uno sciopero, manifestazione
e botte, contro i discendenti delle caste più alte.
Delusione politica
Sullo
sfondo c’è in realtà una profonda e seria delusione politica. Alle
elezioni del 2014, alcune associazioni Dalit avevano sostenuto il
premier Narendra Modi, credendo forse nella sua promessa di
trasformazione e modernizzazione dell’India oltre queste antiche e
apparentemente inestirpabili divisioni. Le classi più maltrattate
avevano creduto che Modi facesse, sì, l’occhiolino ai fanatici induisti
avvolti nei mantelli color zafferano, ma che avrebbe in fin dei conti
portato più garanzie per gli afflitti, le cosiddette Scheduled Classes.
Così
non è stato. Anzi, tutto il contrario. E, nell’era di Modi, le
atrocità, gli stupri, le violenze contro la casta più vituperata, mentre
la polizia guarda spesso dall’altra parte, si sono invece moltiplicati.