La Stampa 3.4.18
Israele blocca il rimpatrio dei profughi ma sfiora l’incidente diplomatico
Il
premier Netanyahu annuncia l’invio di eritrei e sudanesi in Europa e
Canada poi fa marcia indietro: non indicavo Stati specifici, erano solo
degli esempi
di Giordano Stabile
Benjamin
Netanyahu annuncia un accordo «senza precedenti» per il ricollocamento
dei migranti africani da Israele verso «Paesi occidentali» ma sfiora
l’incidente diplomatico con Italia e Germania, che smentiscono di aver
approvato il trasferimento. Il colpo a sorpresa del premier israeliano
arriva nel primo pomeriggio di ieri, quando in una conferenza stampa da
Gerusalemme, spiega di aver trovato una soluzione per il problema.
Sono
i oltre 40 mila gli eritrei e i sudanesi arrivati nello Stato ebraico
fra il 2005 e il 2012 dopo aver attraversato senza autorizzazione la
frontiera con l’Egitto. Il governo aveva prima trovato un accordo con
due Stati africani amici, Ruanda e Uganda, che avevano accettato di
accoglierli. Ma erano piovute critiche sia interne, da parte della
sinistra e del mondo delle Ong, sia internazionali, perché quelle
persone, considerate «immigrati economici», erano in fuga da Paesi
devastati da guerre civili e dittature.
L’Alta corte aveva poi
bloccato, con una misura temporanea, i respingimenti. Anche se il no
all’immigrazione illegale incontra il favore della maggioranza degli
israeliani, Netanyahu ha capito che il caso poteva trasformarsi in un
boomerang politico. Ha avviato colloqui riservati con l’agenzia Onu che
si occupa dei rifugiati, l’Unhcr, e delineato un piano completamente
diverso. Nella conferenza stampa ha poi precisato che 16.250 migranti
sarebbero stati inoltrati verso Paesi occidentali «nell’arco di cinque
anni», mentre altri circa 16 mila sarebbero potuti restare in Israele
«con visti di lavoro, in località dove potranno rendersi utili». Fra le
destinazioni finali Netanyahu citava «Italia, Germania e Canada».
Un
dettaglio che innescava la reazione dell’Italia, non al corrente. In
una nota la Farnesina ribatteva che non esisteva «alcun accordo con
l’Italia nell’ambito del patto bilaterale tra Israele e Unhcr per la
ricollocazione dei migranti». Anche la Germania smentiva. Poco dopo
arrivava la precisazione dell’ufficio del premier israeliano che
spiegava come «l’Italia era solo un esempio di una nazione occidentale» e
che il primo ministro «non intendeva in modo specifico» il nostro
Paese. L’accordo, in realtà, prevede che l’Unhcr lavori a livello
diplomatico con interlocutori europei e americani per trovare
destinazioni consone, in piccoli numeri, visto che il trasferimento
dovrebbe avvenire in cinque anni.
La questione non è quindi ancora
risolta, anche perché alle obiezioni internazionali si è aggiunta la
fronda interna da parte della destra del Likud e dei partiti
conservatori della coalizione, e il premier, in tarda serata, ha detto
che l’accordo «era sospeso» e sarebbe stato sottoposto a ulteriori
valutazioni. L’immagine di Netanyahu, già in difficoltà per gli scandali
e le inchieste della magistratura, ne esce offuscata. Un successo su
questo fronte serviva anche a risollevare il governo dopo i fatti di
Gaza, l’uccisione dei 17 manifestanti palestinesi che ha attirato
critiche da molti Paesi per l’uso eccessivo della forza. Ora il
respingimento dei migranti verso l’Africa non è più praticabile, come ha
ammesso lo stesso premier. L’opposizione l’ha condannato come
«immorale», una macchia per Israele, terra di accoglienza per gli
immigrati ebrei fin dalla sua nascita. A Tel Aviv, in questi mesi, si
sono tenute manifestazioni di protesta, mentre centinaia di medici,
accademici, sopravvissuti all’Olocausto, scrittori e rabbini hanno
firmato appelli.
I migranti africani sono arrivati in Israele a
partire dal 2005, dall’Egitto, quando il governo del Cairo ha represso
una loro protesta. Eritrei e sudanesi hanno visto nello Stato ebraico un
rifugio sicuro e opportunità di lavoro. Oltre quarantamila hanno
attraversato la frontiera lungo il Sinai, porosa e difficile da
controllare, finché nel 2012 la costruzione di un muro lungo il confine
ha ridotto gli ingressi a poche decine l’anno. Restavano però i circa 40
mila già arrivati, quasi tutti concentrati nei quartieri popolari di
Tel Aviv, con impieghi precari, spesso costretti a dormire per strada.
Ma il miraggio di una nuova vita in Europa è durato lo spazio di qualche
ora.