Corriere 3.4.18
«Gli eritrei torturati a casa, invisibili a Tel Aviv»
di Marta Serafini
«In
Sinai sono stati compiuti tra i crimini più gravi contro l’umanità,
smettiamola di parlare di reinsediamenti e usiamo la parola più
corretta: deportazioni». La dottoressa Alganesh Fessaha, 62 anni,
fondatrice della Ong Ghandi, ha visto da vicino l’orrore vissuto dai
rifugiati eritrei in Israele e, per salvarli (ne ha liberati migliaia),
ha rischiato lei stessa la vita.
Dei 38 mila migranti presenti in Israele, 28 mila sono eritrei. Da cosa scappano?
«In
Eritrea la dittatura di Isaias Afewerki, al potere da 25 anni, impone
il servizio militare a uomini e donne. I giovani se ne vanno perché non
vogliono trasformarsi in schiavi, oltre che per la mancanza di cibo e
lavoro».
Lei ha denunciato e documentato gli abusi subiti dalla sua gente nel Sinai. Cosa accadeva a chi tentava di entrare in Israele?
«Ogni
tipo di tortura e di orrore. Una volta passati in Sudan i migranti
finiscono nella rete dei passeur beduini. A chi è in grado di pagare
vengono chiesti duemila euro, poi donne, uomini e bambini, passano di
mano in mano, anche 5 volte. E ad ogni passaggio vengono torturati,
affinché chiedano ai familiari rimasti a casa di pagare i riscatti. Ho
sentito di persona le telefonate e le grida di dolore, ho ascoltato i
racconti delle torture con la plastica fusa, dei capelli dati alle
fiamme con il kerosene, le botte e la privazione di cibo e acqua. Le
assicuro, sono parole che non si dimenticano. Le donne e i bambini
vengono violentati anche 5 o sei volte al giorno. A chi non è in grado
di pagare vengono espiantati gli organi. I corpi di chi non ce l’ha
fatta sono stati abbandonati nel deserto senza nessuna sepoltura».
Che tipo di vita hanno gli eritrei che vivono in Israele?
«Vivono
per lo più nella zona sud di Tel Aviv. Sono invisibili, non hanno
diritto all’assistenza sanitaria, fanno lavori umili e spesso finiscono
in galera. La maggior parte delle donne cade nel traffico della
prostituzione. Stessa sorte subiscono i minori non accompagnati. E non
mancano i casi di discriminazione e di violenza (nel 2016 un ragazzo è
morto dopo che gli hanno dato fuoco)».
Il programma di Netanyahu prevedeva il ricollocamento in Ruanda e Uganda... .
«È
tragicamente ironico che Paesi come Israele e il Ruanda le cui
popolazioni hanno conosciuto il genocidio si accordino per deportare
migliaia di persone. Con il Ruanda sono stati fatti accordi in cambio di
armi senza tenere conto delle sofferenze già subite da queste persone.
Ma va ricordato come i giovani israeliani siano scesi in piazza per
protestare contro queste deportazioni».
Chi è stato rimandato in
Ruanda e Uganda ci rimane? «No, la maggior parte ritenta il viaggio,
magari provando la rotta libica verso l’Italia».