La Stampa 29.4.18
La guerra d’attrito fra Iran e Israele
di Maurizio Molinari
In
Medio Oriente è incominciata una guerra d’attrito fra Iran e Israele
che è frutto dei cambiamenti strategici in Siria, vede l’utilizzo di
nuovi armamenti e tattiche, riflette gli interessi contrastanti di Mosca
e Washington, e può degenerare in un conflitto regionale di maggiori
dimensioni.
Le guerre d’attrito sono una delle tipologie dei
conflitti mediorientali degli ultimi 70 anni. Subito dopo la nascita di
Israele nel 1948, dai porosi confini con Giordania e Siria le incursioni
armate arabe furono tali e tante da obbligare l’allora premier Ben
Gurion a fronteggiarle creando una nuova unità - la 101 affidata ad
Ariel Sharon - incaricata di combattere oltre confine così come fra il
1967 ed il 1970 le schermaglie quotidiane lungo il Canale di Suez furono
la continuazione della Guerra dei Sei Giorni e consentirono all’Egitto
di porre le basi per l’attacco a sorpresa che nel 1973 diede inizio alla
guerra del Kippur. La guerra di attrito si verifica quando due o più
Stati si combattono a distanza ravvicinata ma, per le ragioni più
diverse, senza dare vita ad un conflitto di tipo tradizionale. È la
versione contemporanea delle guerre tribali del deserto, la cui
caratteristica è una situazione di costante conflittualità ma con
intensità alterne.
Se ora Iran e Israele sono protagoniste di
questo tipo di confronto è perché si tratta di Stati avversari che il
conflitto siriano ha trasformato in vicini geografici.
L’Iran
degli ayatollah ha designato Israele come nemico ideologico sin dalla
rivoluzione khomeinista del 1979 ma ha poi ingaggiato sempre scontri
indiretti - dalla metà degli Anni Ottanta per mezzo degli Hezbollah
libanesi o dei pasdaran - fino all’attuale conflitto civile siriano che
ha portato Teheran ad inviare truppe scelte, armamenti sofisticati e
miliziani sciiti per sostenere il regime di Assad che ora, a missione
compiuta, vengono rafforzati e consolidati per minacciare direttamente
il territorio di Israele da basi situate a meno di un’ora di volo da Tel
Aviv e Gerusalemme. Per Ali Khamenei, Guida Suprema della rivoluzione
iraniana e capo indiscusso dell’apparato militare, avere uomini e mezzi a
ridosso delle Alture del Golan è un risultato di prima grandezza:
dimostra che l’impegno a distruggere «il regime sionista entro un
massimo di 25 anni», come ha detto la scorsa settimana il generale
iraniano Abdolrahim Mousavi, può essere concretamente raggiunto.
L’obiettivo indicato da Khomeini di «estirpare il cancro sionista dalla
Palestina» diventa per Teheran un’operazione militare che può essere
concretamente progettata grazie alla possibilità di spostare liberamente
uomini e mezzi lungo l’«autostrada sciita» come il re Abdallah di
Giordania definisce la continuità territoriale, da Teheran a Beirut, fra
Stati legati all’Iran da rapporti di alleanza o amicizia. Per Gadi
Eisenkot, capo di Stato Maggiore israeliano, il rischio di conflitto è
testimoniato dalla presenza di almeno cinque basi aeree iraniane in
Siria a cui bisogna aggiungere un arsenale di «decine di migliaia di
missili» in possesso di Hezbollah in Libano. Da qui la necessità di «uno
scambio di intelligence fra Israele e Arabia Saudita» per far nascere
in Siria un’alleanza de facto israelo-sunnita contro la minaccia comune
di Teheran.
Sono questi evidenti cambiamenti strategici a fare da
cornice alla sperimentazione di nuove armi su entrambi i fronti. A metà
febbraio l’Iran ha inviato per la prima volta sui cieli di Israele un
drone armato di ordigni dimostrando di poter condurre un nuovo tipo di
attacchi contro obiettivi civili e militari. Il drone è stato abbattuto
da un elicottero introducendo un inedito tipo di duello tattico in Medio
Oriente: i droni riescono a perforare le difese antimissile e per
abbatterli devono essere inseguiti da velivoli-cacciatori, come se
fossero uccelli rapaci. Da parte sua Israele per colpire le base di
Tyas, nella Siria Occidentale, dove l’Iran aveva accumulato un numero
imprecisato di droni armati, ha adoperato a inizio aprile dei jet dotati
di missili da crociera capaci di sfuggire ai radar russi ed operare a
grande distanza. Dimostrando un controllo dei cieli della regione
rafforzato dall’acquisto degli F-35 americani, velivoli capaci di
trasformarsi in centrali elettroniche per qualsiasi tipo di intervento,
aereo o terrestre.
Droni iraniani e F-35 israeliani sono armi al
debutto, così come la tattica della «marea umana» è un’altra
significativa novità tattica. Hamas la sta testando, oramai da quattro
venerdì, lungo i confini della Striscia di Gaza per mettere in
difficoltà con migliaia di civili le difese israeliane, ma quanto si
prepara in Siria è di tutt’altra portata: gli oltre 80 mila miliziani
sciiti, provenienti da più Paesi, che l’Iran sta ammassando in Siria
potrebbero trasformarsi in una «marea umana» votata alla Jihad sul Golan
capace di trafiggere le difese terrestri israeliane ed attaccare i
centri civili in Galilea. Sono questi nuovi scenari di guerra che
portano Abas Aslani, vicecomandante dei Guardiani della Rivoluzione, a
dedurre che «i sionisti si trovano nelle fauci del dragone e presto
dovranno fuggire in mare» essendo minacciati da una tenaglia formata da
missili Hezbollah in Libano e miliziani sciiti in Siria. Avigdor
Lieberman, ministro della Difesa israeliano, risponde minacciando
l’escalation: «Se voi colpirete Tel Aviv, noi colpiremo Teheran».
Ovvero, un conflitto regionale è possibile.
Tutto ciò riflette gli
interessi conflittuali di Mosca e Washington perché il Cremlino
considera l’Iran il più strategico dei suoi alleati in Medio Oriente
mentre per la Casa Bianca si tratta del Paese portatore di maggiori
pericoli collettivi, dal terrorismo alle armi di distruzione di massa.
Ed inoltre mentre attorno al patto con Teheran la Russia sta costruendo
una vasta area di influenza politico-energetica nella regione, gli Stati
Uniti tentano di arginarla il più possibile facendo leva sul consenso
dei Paesi sunniti e di Israele.
Insomma, la guerra d’attrito fra
Teheran e Gerusalemme è appena all’inizio, ma l’impatto è già
significativo. Innescando una nuova dinamica dalle conseguenze
imprevedibili in Medio Oriente.