domenica 29 aprile 2018

il manifesto 29.4.18
Pompeo, strategia comune con israeliani e sauditi contro l’Iran
Medio Oriente. Il segretario di stato, fresco di nomina, alla sua prima missione intende rassicurare Riyadh e Tel Aviv su una rinnovata linea del pugno di ferro contro Tehran. E avverte che Trump il 12 maggio con ogni probabilità uscirà dall'accordo Jcpoa sul nucleare iraniano.
di Michele Giorgio


Il tempo di giurare a metà settimana nelle mani del giudice della Corte Suprema Usa ‎Samuel Alito, italo-americano come lui, e Mike Pompeo è partito per la sua prima ‎missione all’estero da Segretario di stato. Dopo la rapida ma importante tappa al ‎vertice dei ministri degli esteri della Nato a Bruxelles, Pompeo si è diretto in Medio ‎oriente per incontri in Arabia, saudita, Israele e Giordania, i principali alleati, ‎assieme all’Egitto, degli Stati uniti nella regione. Tema centrale dei colloqui è l’Iran. ‎Pompeo lo ha affrontato subito al suo arrivo ieri a Riyadh dove ha prima incontrato ‎il ministero degli esteri Adel al Jubeir e poi l’erede al trono Mohammed bin Salman, ‎ormai partner di primissimo piano delle strategie dell’Amministrazione Usa in ‎Medio oriente. Oggi vedrà gli israeliani e domani i giordani.‎
 Rimarrà deluso chi aveva creduto che il presidente francese, con promesse, ‎concessioni e qualche abbraccio (di troppo), fosse riuscito qualche giorno fa alla ‎Casa Bianca a convincere Donald Trump a non uscire dal Jcpoa (Joint ‎Comprehensive Plan of Action), l’accordo del luglio 2015 tra Tehran e i cinque ‎Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania, sulle limitazioni ‎alla produzione di energia atomica da parte dell’Iran. Falco apertamente contrario al ‎Jcpoa, come lo sono il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e ‎l’ambasciatrice alle Nazioni Unite Nikki Haley, Pompeo venerdì a Bruxelles è stato ‎fin troppo esplicito: Trump non ha preso alcuna decisione e il 12 maggio, come ha ‎minacciato di fare, potrebbe ritirarsi dall’accordo con l’Iran. ‎«Il presidente è stato ‎chiaro – ha detto – senza modifiche sostanziali, senza superare le carenze e i difetti ‎dell’accordo, è improbabile che rimanga in quella intesa dopo questo maggio‎». Una ‎linea che proprio Pompeo intende irrigidire ulteriormente, lui che qualche tempo fa ‎ha proclamato che 2.000 missioni di bombardamento aereo sono la soluzione giusta ‎per il nucleare iraniano.‎
 Sull’uscita di Trump il 12 maggio dal Jcpoa puntano Arabia saudita e Israele che ‎vogliono l’imposizione immediata di pesanti sanzioni economiche e politiche ‎all’Iran e che sia tenuta in considerazione anche “l’opzione militare”. Mantiene ‎invece una posizione più defilata la Giordania, leggermente più aperta nei confronti ‎di Tehran e che vede nella fine dell’accordo del 2015 una sfida alla sua stabilità, ‎tenendo conto della sua posizione geografica e politica. Pompeo cercherà di ‎rassicurare Riyadh e Tel Aviv, rimarcando la differenza tra la sua linea del pugno di ‎ferro e quella più diplomatica del suo predecessore Rex Tillerson licenziato in ‎tronco da Trump. Insisterà sulla lotta a quello che sauditi e israeliani descrivono ‎‎«l’espansionismo‎» dell’Iran nella regione. A maggior ragione ora che ‎l’Amministrazione Trump non vede più nella Corea del Nord il nemico principale ‎degli Usa.‎
 A Bruxelles il Segretario di Stato si è mostrato relativamente conciliante con la ‎Turchia nonostante il dissenso espresso nei confronti dell’intenzione di Ankara di ‎dotarsi del sistema di difesa antimissile russo S-400. Pompeo ha lasciato capire al ‎ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu che gli Usa potrebbero rivedere il ‎sostegno offerto sino ad oggi alle milizie curde in Siria. Milizie che la Turchia ‎vuole cacciare, non solo da Afrin come ha già fatto, in nome di un peloso sostegno ‎all’integrità territoriale della Siria. Sostegno che Cavusoglu ha ribadito ieri a Mosca ‎durante il summit con il ministro russo Sergey Lavrov e l’iraniano Mohammad ‎Javad Zarif. Il vertice ha anche preparato il nuovo incontro dei tre Paesi ad Astana ‎per la ricerca di soluzione negoziata alla crisi siriana.‎