domenica 29 aprile 2018

La Stampa 29.4.18
“Dopo anni di insulti è ridicolo che i grillini mi chiedano i voti”
Renzi oggi in tv, da Fabio Fazio
di Francesca Schianchi


«Mi sembra che questa vicenda si stia lentamente spegnendo come doveva…». A pochi giorni da una Direzione Pd carica di aspettative e di attese, il presidente Matteo Orfini, capofila nel partito dei contrari a qualunque dialogo con il M5S, sospira soddisfatto. L’appuntamento è confermato per giovedì prossimo alle 15, ma l’impressione tra i renziani è che la possibilità di un accordo con Di Maio e compagnia stia sfumando. Per l’ostilità dell’ex segretario, del drappello di suoi fedelissimi pronti a bombardare via social e dichiarazioni il quartier generale di largo del Nazareno, la riunione ha cambiato di segno, assumendo il significato non più di un via libera al governo ma semplicemente a sedersi a un tavolo. Un obiettivo tutto sommato minimale, tale, per il reggente Maurizio Martina, da poter sperare nell’unità del partito. Inclusi i più contrari, che tenta di rassicurare anche con un’altra arma, la garanzia di consultare la base in caso di accordo: «Se la direzione del 3 maggio darà il via libera al confronto con i Cinque Stelle – dichiara ospite di Maria Latella su Sky - penso sia giusto che l’eventuale esito finale di questo lavoro venga valutato anche dalla nostra base nei territori con una consultazione».
Un modo per rimettersi in sintonia con un elettorato disorientato e confuso, almeno in parte contrario (di ieri il lancio in rete di un appello-manifesto per il no all’accordo di cento iscritti romani al partito), oltre a essere un proposito difficile da evitare, dopo che il capo dei Cinque stelle Di Maio ha già annunciato una analoga consultazione tra i grillini, on line, in caso di contratto alla tedesca. Ma, appunto, l’intesa appare ancora lontana. «Stiamo dividendo il Pd sul nulla», scrive in un post su Facebook Matteo Richetti, già candidato alla corsa (congelata) a segretario, «non avrei mai convocato una Direzione per decidere se e con chi parlare», bacchetta il reggente con cui, pure, ha un buon rapporto. Il punto, spiega, è che non c’è convergenza possibile: i Cinque stelle non hanno intenzione di rinunciare a vedere Luigi Di Maio a Palazzo Chigi, e i dem non hanno intenzione di rinnegare riforme e provvedimenti di cinque anni di governo. «Evitiamo di fare una Direzione dove ci dividiamo sul “parliamo o non parliamo con il M5S” se ciò che ci unisce (che le condizioni poste non sono nemmeno discutibili) chiude la discussione», invita. Pur non avendo più un rapporto stretto con l’ex premier, la posizione che rappresenta è molto simile a quella che Renzi va illustrando.
C’è un problema di numeri al Senato, ripete il leader dimesso che, da dietro le quinte, in barba alla qualifica che si è autoassegnato di «senatore semplice di Scandicci», intende governare il processo. Numeri ballerini e posizioni inconciliabili su alcuni temi che per l’una o l’altra forza politica sono cavalli di battaglia. Oltre a esserci, ammette, un problema personale, come ricordato sbottando con i suoi: «Gli stessi che per anni mi hanno insultato per mandarmi a casa adesso mi chiedono per favore di votare il loro governo. Suona ridicolo e incoerente». Dopo che per giorni sono stati i suoi pasdaran a lanciare strali e hashtag, stasera sarà lui a intervenire, ospite da Fabio Fazio a «Che tempo che fa». Chi lo conosce, immagina che affronterà l’intervista affossando l’ipotesi di intesa con i Cinque stelle mettendo in luce tutti i punti di disaccordo, dal Jobs Act alla Buona scuola, alla premiership di Di Maio. Il dialogo si può tenere, è la linea, ma a precise condizioni capestro: un tentativo di mostrarsi formalmente dialoganti ma in realtà inaccessibili, cercando di evitare la parte del guastatore irresponsabile nel momento in cui è il presidente della Repubblica a chiedere di approfondire l’esplorazione. Anche se un improbabile epilogo di esecutivo dem-stellato potrebbe scatenare reazioni: «Migliaia di persone sono pronte a scendere in piazza», mette in guardia l’altro pretendente a Palazzo Chigi, Matteo Salvini. «Altro che consultare i militanti piddini e grillini in rete, la Lega è pronta a mobilitare milioni di italiani se il voto non sarà rispettato».