il manifesto 29.4.18
La grande indignación contagia anche il convento
Spagna.
Oltre un milione di firme in 48 ore per chiedere la sospensione dei
giudici responsabili della sentenza di abuso sessuale, non violenza, per
i cinque stupratori del caso de La Manada
di Marina Turi
Sole
48 ore per raccogliere più di un milione di firme per chiedere la
sospensione dei giudici responsabili della sentenza di abuso sessuale,
non violenza, per i cinque stupratori del caso spagnolo de La Manada.
Almeno una ventina di altre petizioni per avviare la riforma del codice
penale su abusi e aggressioni sessuali.
Da giovedì scorso
l’indignazione dilaga, contamina settori sociali diversi e risveglia la
fantasia. Il grafico di @mariasande spiega perfettamente perché questa
sentenza è perversa e patriarcale.
Se sei di fronte a 5
stupratori, hai 2 possibilità: sei terrorizzata e li lasci fare o hai
molta paura, ma opponi resistenza. Nel primo caso il giudizio della
società e dei media sarà che sei una facile e che te la sei cercata,
mentre i giudici diranno che non è violenza, ma solo abuso sessuale.
Nove anni di pena ai 5 stupratori e via. Nel secondo caso resisti e hai 2
possibilità. Sei fortunata: ti immobilizzano, ti violentano, però sei
viva.
In questo caso la giustizia dirà che ti hanno rovinato la
vita e ti hanno violentata, ma sarai tu a doverlo dimostrare. Se invece
sei sfortunata ti violentano e ti ammazzano. In questo caso la giustizia
dirà che c’è stato omicidio, ma per te sarà uguale perché sei morta.
Lineare ed esaustivo. Come le dichiarazioni delle monache di clausura
dell’ordine delle Carmelitane Scalze di Hondarribia che tramite facebook
esprimono solidarietà alla ragazza violentata e disappunto per la
scelta dei giudici. «Noi viviamo in clausura, portiamo un abito fino
alle caviglie, non usciamo di notte, non facciamo festa, non beviamo
alcool, abbiamo fatto voto di castità. È una scelta che non ci rende
migliori o peggiori di altre, ma è una scelta libera. Difenderemo con
tutti i mezzi a disposizione il diritto di tutte le donne di fare
liberamente scelte contrarie alla nostra senza essere giudicate,
violentate, intimidite, assassinate o umiliate per questo».
Utilizzano
lo slogan «Sorella, io ti credo» e ribadiscono, senza alcun timore, che
è qualcosa che riguarda tutta la società. Anche loro, che per scelta
vivono segregate, si sentono coinvolte quando avviene un’ingiustizia
così.
Rabbia e manifestazioni, il rifiuto della sentenza riesce ad
ottenere consenso in tutto il paese, isole comprese. Giornaliste,
scrittrici, politiche, studentesse lanciano l’hashtag #Cuéntalo – che
ricorda l’italianissimo #quellavoltache – per raccontare le proprie
storie di abusi e aggressioni sessuali. C’è anche chi invita la regina
Letizia a non tacere, a partecipare, almeno con un tweet. L’associazione
delle giuriste catalane individua nella sentenza di giovedì un appoggio
a l’immaginario collettivo in cui chi subisce una violenza deve
scegliere tra affrontare o cedere «come male minore». In un comunicato
affermano che così si crea un precedente grave contro la libertà
sessuale delle donne. «Sfoca la costruzione del consenso e rafforza
l’idea che questo possa essere dato in circostanze di pressione». Si
dichiarano molto preoccupate del voto di uno dei giudici a favore
dell’assoluzione dei cinque imputati. Forse sarebbe anche il caso di
interrogarsi sull’idea di sessualità di giudici che esprimono sentenze
simili.
Poi ci sono i politici e molti della destra in imbarazzo
per un verdetto tanto osteggiato. Iniziano le dichiarazioni
copia&incolla per ribadire che «come carica pubblica rispetterò
sempre una sentenza, anche quando non mi piace. Però riconosco che come
cittadino e come padre mi pesa accettarla. Tutto il mio appoggio alla
vittima e alla sua famiglia» così si lava la coscienza Albert Rivera
leader di Ciudadanos, il partito politico della destra liberale
attualmente in testa a tutti i sondaggi. E allora via a ripetere che si
rispettano le decisioni dei giudici, però ci sono proprio giorni in cui è
più duro accettarle. E anche «ci sono ragioni e fondamenti giuridici
che il cuore non comprende». Un po’ di ipocrisia, un po’ di convenienza.
Ma
è chiaro, non solo ai movimenti femministi più radicali e insofferenti,
che questa sentenza così accomodante non è un eccesso di garantismo o
solo un fallo nel codice penale spagnolo rispetto alla violenza
sessuale, ma è la risposta politica allo sciopero globale delle donne
dell’ultimo 8 marzo. In Spagna oltre 5 milioni hanno bloccato il lavoro
produttivo e riproduttivo, chi per un’ora, chi per un giorno, perché
fosse chiaro che un mondo senza donne si ferma. Adesso fermare una marea
di donne sarà difficile.