La Stampa 16.4.18
I bambini inascoltati abusati in famiglia e da sette sataniche
Boom di chiamate al numero verde per le violenze rituali Storia di Luca, vittima per molti anni dei nonni e dello zio
di Andrea Malaguti
Questa
storia comincia molte volte per non finire mai, perché è costruita su
un orrore che va avanti da secoli e si fonda sugli istinti più feroci e
bassi degli esseri umani.
È una storia che si ripete quotidianamente e
sconvolge le vite di intere famiglie, segnando per sempre l’esistenza
di bambini con un’età compresa tra i quattro e i dodici anni. A volte
anche più piccoli. Bambini abusati sessualmente da pedofili che,
nell’85% dei casi, vivono in famiglia.
Bambini sfruttati e fotografati per il mercato nero di internet.
Bambini
utilizzati come marionette sacrificali nelle notti delle messe nere e
dei riti satanici. Riti che la coscienza popolare tende a negare, che la
giustizia fatica a perseguire e a condannare, che un esercito
internazionale di Orchi vorrebbe normalizzare.
Secondo il dottor
Luigi Corvaglia, membro della Federazione Europea dei Centri di ricerca e
informazione sul settarismo, sono almeno dieci le sette sataniche
(«strutturate e organizzate») presenti in Italia. «Ciascuna con almeno
cento adepti». Ed è impossibile calcolare il numero delle sette fai da
te. «Gruppi che spesso sono responsabili di fatti di sangue, mutilazioni
di animali e atti vandalici».
Famiglia-modello
Per capire di che
cosa parliamo, partiamo da un caso che somma pedofilia, abuso familiare e
abuso rituale. Un caso aperto, che potremmo intitolare: distruzione di
una famiglia modello.
Ci sono volute settimane per trovare le persone
giuste ed è stato necessario dare molte garanzie, a cominciare da
quella dell’anonimato. Poi il dottor Claudio Foti, psicoterapeuta che
dirige il centro Hansel e Gretel di Torino, ha telefonato: «D’accordo,
andiamo».
Partiamo per il Veneto. Il treno si ferma in un paese
collinare, in una stazione piccola, vicina a un capoluogo di provincia.
Arriva a prenderci una macchina azzurra. L’uomo al volante si chiama
Marco, ha poco più di quarant’anni, un bell’aspetto, anche se i capelli
sono diventati precocemente bianchi.
È un piccolo imprenditore. Ha
una moglie, Anna, e due bambini che potrebbero stare nello spot
televisivo di una marca di biscotti. Fino a quattro anni fa la sua vita
era perfetta. Un fratello ingegnere a cui è legato visceralmente, un
padre e una madre, imprenditori a loro volta, presenti, amorevoli e
collaborativi. Una famiglia benestante e piuttosto nota.
Una famiglia
unita. Anzi, d’acciaio. Di quelle che si pranza insieme la domenica e
non si fa niente senza dirlo agli altri. Una meraviglia. E invece è un
bluff. Peggio è un inferno.
Le prime crepe
Luca, il figlio più
grande di Marco, ha otto anni, è nervoso e nessuno capisce perché. Urla,
si ribella, insulta i genitori quando lo lasciano a casa dei nonni, o
dello zio, li chiama «bastardi». Da qualche settimana si tocca i
genitali e fa gesti dal contenuto esplicitamente sessuale. Eppure va
bene a scuola, ha il cervello rapido e in casa è amato come raramente
succede.
Solo che un giorno, arrivando dai genitori di Anna, salta
addosso alla nonna e le infila una mano sotto la gonna, poi schizza sul
divano dove è seduto il nonno, e gli mette una mano tra i pantaloni.
Marco, suo padre, sbianca. Lo porta in bagno e gli grida: «Adesso basta,
dimmi che cos’hai». Luca diventa rosso, abbassa la testa e poi,
inciampando sulle parole, dice: «Non te lo posso raccontare, è un
segreto tra me e zio Gabriele». Marco non capisce bene. Lo accarezza
sulla testa: «Luca, non ci sono segreti tra me e te, tu mi puoi dire
tutto». Luca parla: «Zio fa delle cose che non vuole che ti racconti».
A
Marco si gela il cuore. Quali cose? «Il gioco che mi fa strusciare il
pisello». Prende l’asciugamano, lo arrotola e comincia ad accarezzarlo.
Marco mantiene la calma: «Ma tu lo vuoi fare?». «No». «E allora perché
lo fai?». «Perché zio dice che poi mi dimentico tutto. Ma io non mi
dimentico niente». Nella testa di Marco si accendono mille lampadine.
Collega una serie di episodi apparentemente secondari che diventano la
sua nuova mappa della verità. Capisce che Luca non mente. «Dillo anche a
mamma».
Luca sembra sgretolarsi, si prende la testa tra le mani,
grida: «Nooo, basta». Il cervello di Marco si annebbia. La rabbia sale.
Carica in macchina due taniche di benzina e una spranga per andare ad
ammazzare il fratello. La moglie lo ferma. Abbraccia Luca davanti a lui.
Marco
allora corre dal padre a raccontargli ogni cosa. Il nonno non lo lascia
finire. Si butta a terra come se gli avessero sparato. Piange. È
sconvolto. E allora Marco lo tranquillizza, mentre suo padre lo implora:
«Non dire niente a mamma, non lo sopporterebbe». Tornando a casa Marco
cerca di ricordare quante volte ha lasciato soli i bambini con lo zio.
Un sacco di volte.
Gli torna in mente una mattina. Anna non c’era e i
bambini erano nel lettone a dormire. Gabriele suona alla porta, sale,
lui gli dice: «Vado a spostare la macchina e a fare colazione, bada tu a
Luca e Gianni». Tornando senta delle urla. Sale di corsa e trova Luca
con il pannolino abbassato. Piange come un disperato. «Che succede
Gabriele?». Lo zio risponde: «Niente, si è svegliato di colpo e invece
di vedere te ha visto me. Si è spaventato. Capita». Capita. Marco gli
crede. Ovvio che gli crede. Adesso vede quell’episodio sotto una luce
diversa. Vuole denunciare il fratello, ma il padre gli chiede di non
farlo. Lui lo fa lo stesso. In casa la tensione si alza, perché Luca
racconta che anche Gianni ha subito abusi dallo zio. Gianni ha solo tre
anni.
I segni dell’orrore
Luca peggiora ogni giorno. Lecca i muri,
si barrica in camera, dice e fa cose oscene. È come se dovesse
spurgarsi dallo schifo. Fa anche dei disegni. Uno più spesso degli
altri. Una casa nera con le finestre che sanguinano. E dentro la casa
uno zombie verde. Quello zombie è lo zio. È un orrore. Ma non è ancora
tutto l’orrore.
A tre giorni dalla prima udienza contro lo zio, Luca
aggiunge al disegno anche una strega. Marco gli chiede: «Chi è la strega
Luca?» e Luca dice: «La nonna». Si può scendere più in basso di così?
Si può. Perché Luca ha un’altra domanda da fare a suo padre: «Tu lo sai
chi è il più cattivo di tutti, papà?». Marco traballa. «Lo zio?». «No,
il nonno». Cioè il padre di Marco. Cioè l’uomo al quale Marco si è
appoggiato fin da bambino. «In quell’istante ho dubitato della sanità
mentale di mio figlio», dice Marco. «Mi ha convinto con tre particolari
che non poteva inventare. Il mio mondo è crollato».
Luca e Gianni
violentati. Dallo zio. Dalla nonna. Dal nonno. Tutta la sua famiglia.
Altre lampadine che si accendono. Altri episodi che tornano alla mente.
«Ricordo
una sera. Arrivo dai miei per riprendere i ragazzi. Era una giornata
felice perché mi era andato bene un lavoro. Sento Luca urlare. Corro in
camera. E lui è lì con mio padre. Che mi aggredisce: “Tu non sai educare
i tuoi figli, piangono sempre, urlano sempre”. Esco dalla camera e vedo
mia madre che si picchia sul viso e dice: “non lo sopporto più, non lo
sopporto più”. Una scena assurda. Che ora mi spiego benissimo».
L’avvocato
di Marco e Anna suggerisce di non coinvolgere i nonni per il momento.
Il processo è troppo vicino. Bisognerebbe rifare tutto da capo. I
piccoli testi non sarebbero ritenuti attendibili. Ai bambini è difficile
credere in generale. Figurarsi in un caso come questo. Marco e Anna
accettano. Forse sbagliano. Forse. Ma sono devastati e di qualcuno si
devono pure fidare, persino di questo avvocato mezza tacca.
Gli abusi dell’infanzia
Ogni
volta che si addormenta Luca piange, da sveglio non lo fa mai. I suoi
occhi si riempiono di lacrime. I suoi sogni sono pieni di sofferenza. Ma
i suoi racconti non terminano. Anzi, si moltiplicano. E diventano
sempre più duri. I dettagli sono schifosi ed è inutile raccontarli, il
contesto è un abisso di sporcizia e di cattiveria.
Luca racconta di
essere stato portato assieme a Gianni in un canile. Di essere stato
chiuso in una gabbia. Racconta dei cani, forse morti, buttati sul suo
corpo. Di uomini con le maschere. Di calici riempiti di urina e sperma
che è obbligato a bere. Disegna anche il profilo di un uomo, identico al
capo di suo zio. Sono abusi rituali, quelli di cui gli avvocati non si
vogliono occupare, perché quasi impossibili da dimostrare a giudizio.
I
bambini sono vittime perfette. Per i carnefici. Imperfette. Per la
giustizia. Pochi riscontri. Molti pensieri confusi. Contraddizioni. In
più c’è il trauma. Che li porta alla dissociazione.
Alla necessità di
far sparire dalla testa questa valanga di fango. Paura. Dolore.
Incapacità di capire. Sono dilaniati. Anna e Marco scopriranno che le
violenze su Gianni e Luca andavano avanti da anni.
Scopriranno che
anche Gabriele era stato abusato da bambino dal padre. E Marco si chiede
ancora adesso perché lui no e suo fratello sì. «Forse mi usava da
alibi».
Anna e Marco scopriranno anche che i vecchi amici di fronte a
storie come questa spariscono e che alla giustizia servono anni prima
di arrivare a un giudizio. Non alla verità. A un giudizio. Scopriranno
anche che l’elaborazione dei traumi è lenta e straziante, che ti
costringe a vedere tuo figlio che si fa del male, che si stacca a morsi
sette unghie su dieci senza che il suo corpo reagisca al dolore perché
ormai è anestetizzato a tutto. E scopriranno anche una nuova realtà del
loro matrimonio.
Una realtà fatta di sensi di colpa. Di tensione. Di
angoscia. Eppure si va avanti. Per Luca e per Gianni. Col terrore che
possano diventare come il nonno.
È quasi impossibile non credere al
racconto di Marco e di Anna, perché non hanno un solo motivo per
distruggere la famiglia. La storia è coerente, piena di dettagli e di
sofferenza. O sono dei romanzieri da Nobel o dicono la verità, anche se
alla giustizia potrebbe non bastare.
Il dottor Foti aggiunge dei
particolari. «Quando Anna e Marco raccontano che Luca ha fatto esplodere
il suo malessere in modo plateale dopo la confessione, confermano un
dato che la letteratura scientifica conosce bene e che loro non possono
maneggiare. Quando un bambino inizia un sofferto processo di
rivelazione, manifesta subito una grande fioritura di sintomi. Io stesso
ho fatto con Luca e Gianni un percorso di terapia e i sintomi hanno
cominciato a sparire quando i loro racconti e i loro sentimenti sono
stati ascoltati e presi sul serio. E per esperienza so una cosa: un
mitomane si gonfia come una rana e aggiunge dettagli incredibili. Una
vittima invece piano piano si sgonfia, perché è come se si liberasse».
Basta
per la giustizia? No. Per questo Foti dice che «i bambini sono
testimoni sconvolti, fragilissimi, facilmente non credibili e quindi
indifendibili: l’impunità dei colpevoli è assicurata. In sintesi,
sappiamo che il fenomeno c’è, ne abbiamo le prove documentali e ne
vediamo i danni nell’attività clinica. Eppure ciò che è inimmaginabile
vince sulla realtà e il riconoscimento sociale è per ora impensabile».
Per ora è impensabile.
Indifesi contro gli orchi
La psicoterapeuta
bolognese Maria Rosa Dominici la pensa allo stesso modo. «I bambini
abusati difficilmente vengono creduti e spesso portano incisa nella
memoria corporea una ferita che continuerà a sanguinare. Per loro non è
prevista nessuna pietà».
Mentre lo Stato resta a guardare, nei
tribunali italiani trovano ancora accoglienza teorie respinte dalla
comunità scientifica internazionale come la Sindrome da Alienazione
Parentale, che attribuisce le denunce dei bambini a una manipolazione
operata su di loro dai genitori nella guerra per divorziare.
I
bambini sarebbero dunque usati e non abusati. «Ma noi sappiamo
perfettamente che su cento casi di abusi denunciati, sono al massimo
cinque quelli in cui i genitori manipolano i ricordi dei piccoli», dice
l’avvocato Andrea Coffari, presidente del Movimento per l’Infanzia e
autore di un libro in uscita sul potere delle lobby pedofile.
Ogni
giorno il numero verde anti sette (800-228866), voluto dalla Comunità
Papa Giovanni XXIII, e diventato ben presto strumento prezioso per le
forze dell’ordine, riceve quindici telefonate di vittime. Oltre
cinquemila l’anno. Molti sono genitori di bambini abusati, che davanti
alla legge non riusciranno mai ad ottenere giustizia.