La Stampa 13.4.18
Gli studenti diminuiscono
In 10 anni la scuola italiana perderà un milione di allievi
Fondazione Agnelli: il calo di nascite e di madri potenziali causerà una drastica diminuzione di classi e insegnanti
La sfida è puntare sulla qualità dell’istruzione
di Andrea Gavosto
Direttore Fondazione Agnelli
La
popolazione scolastica fra i 3 e i 18 anni passerà da 9 a 8 milioni in
dieci anni. L’impressionante calo è già iniziato, a partire dalla scuola
dell’infanzia e dalla primaria; verso la fine del decennio toccherà
anche la scuola superiore. Tutta l’Italia sarà coinvolta dal declino
demografico, che si tradurrà in una diminuzione delle classi, ponendo
problemi inediti a chi governerà.
Lo studio della Fondazione
Agnelli pubblicato oggi sul nostro sito e raccontato su queste pagine ci
ricorda che – come per la sanità – nessuna politica dell’istruzione può
ignorare o sottovalutare le onde lunghe, ma inesorabili, del
cambiamento demografico.
Qualunque seria riforma della scuola deve
darsi un orizzonte temporale e strategico abbastanza ampio da
consentirle di tenere conto di fenomeni così importanti. Raramente
questo è avvenuto, certamente non con la Buona scuola.
55 mila prof in meno
Il
secondo avvertimento è che la perdita di decine di migliaia di posti e
cattedre in tutti i gradi scolastici rende più problematico il
rinnovamento del corpo insegnante. Perché, quando verranno a mancare le
cattedre per assenza di allievi, a norme vigenti non ci saranno
licenziamenti; verrà invece assunto un numero inferiore di insegnanti
per sostituire quelli che andranno in pensione. C’è dunque da temere che
il rallentamento dell’ingresso dei giovani docenti a sua volta freni la
capacità di innovazione dell’intero sistema d’istruzione, già oggi in
ritardo rispetto agli altri Paesi avanzati, e, in definitiva, danneggi
la qualità dell’offerta formativa.
Un esito grave non solo per gli
studenti, ma anche per il Paese, proprio quando il capitale umano
giovane dell’Italia va riducendosi. Se non si riuscirà a compensare il
declino quantitativo con un innalzamento della qualità avremo un
problema serio, che andrà ad aggiungersi ai molti altri che
caratterizzano la nostra scuola.
I dati ci dicono, infine, che si è
chiusa la fase in cui per anni si è detto: «Gli insegnanti sono al Sud,
ma i posti sono al Nord», con tutto il corollario, a volte molto
polemico, sui trasferimenti dei docenti (ricordate la retorica delle
«deportazioni»?). Nei prossimi anni i posti cominceranno a scomparire
anche al Nord. Di conseguenza, è prevedibile un raffreddamento della
mobilità dei docenti dal Sud al Centro-Nord per entrare in ruolo.
È evidente che la concatenazione di questi fenomeni propone quesiti nuovi alle politiche scolastiche.
Una
prima soluzione è non fare nulla: accettare la riduzione degli organici
determinata dal declino demografico, rallentando il turn over, con un
rischio per la capacità di rinnovamento del corpo docente. In tal caso,
peraltro, si risparmierebbero quasi 2 miliardi di euro all’anno: non
poco in un Paese che deve comunque risanare i conti pubblici.
Ma
ci sono alternative. Ad esempio, aumentare il numero medio di insegnanti
per classe, come avvenne nel 1990 con l’introduzione del modulo
didattico alle scuole elementari. Oppure, fare come in Francia,
diminuendo il numero medio di studenti per classe: la «riforma Macron»
ne prevede addirittura il dimezzamento nelle aree più problematiche.
L’alternativa
che tuttavia appare preferibile a chi – come noi – ritiene una priorità
assoluta il miglioramento della qualità dell’istruzione in Italia è
invece puntare su un rafforzamento generalizzato della cosiddetta
«scuola del pomeriggio», che dia maggiori possibilità di scelta del
tempo pieno per le famiglie, in particolare al Sud, dove è ancora del
tutto insufficiente; e che inoltre garantisca attività integrative,
sostegno ai percorsi personalizzati – per i più fragili, ma anche per i
più talentuosi –, maggiori opzioni di scelta delle materie di studio e,
infine, nuove soluzioni di contrasto all’abbandono scolastico.