La Stampa 12.4.18
Berlino 1918
Qui comincia la sventura
Dopo
la disfatta bellica, nasce una forma istituzionale democratica oggetto
di contrattazione permanente. Nella paralisi politica crescono le forze
anti-sistema che apriranno la strada al nazismo
di Gian Enrico Rusconi
Il
9 novembre 1918, il giorno in cui viene proclamata la repubblica
tedesca, nessuna bandiera rossa sventola in realtà sul Reichstag. Anzi
in quel pomeriggio sono proclamate due contrastanti versioni della
repubblica. Una ufficiale, da una finestra del Parlamento, da parte di
Philipp Scheidemann, che forza la volontà stessa del cancelliere
socialdemocratico Friedrich Ebert, appena in carica in un governo di
transizione. L’altra proclamazione avviene in piazza, davanti al
castello di Berlino, per bocca dello spartachista Karl Liebknecht che
giura sulla immediata realizzabilità della libera repubblica socialista
tedesca.
Scenario drammatico di un evento rivoluzionario in atto
già da giorni per la mobilitazione dei lavoratori e dei soldati, sotto
la tutela dei due partiti socialdemocratici tradizionali, maggioritario
(Mspd) e indipendente (Uspd, che comprende anche il gruppo spartachista,
poi comunista), e del nuovo movimento spontaneo dei Consigli degli
operai e dei soldati.
Facciamo qualche passo indietro. Le origini
dei «Consigli dei lavoratori» (sul modello dei soviet russi) e dei loro
capi «delegati rivoluzionari» risalivano ai grandi scioperi iniziati nel
gennaio 1918 contro la guerra e le condizioni intollerabili della
popolazione. Ma nel settembre e ottobre erano stati i vertici
politico-militari a prendere una iniziativa di estrema rilevanza: il
comando supremo (nella persona di Erich Ludendorff) davanti alla
insostenibile situazione militare aveva invitato il governo imperiale a
chiedere l’armistizio. La risposta del presidente americano Woodrow
Wilson era stata dura e inattesa: chiedeva la capitolazione della
Germania e, in forma appena dissimulata, l’abdicazione dell’imperatore
Guglielmo II.
«Nuovo ordine sociale»
Di fronte a queste
richieste l’alto comando pretese la rottura delle trattative e la
prosecuzione della guerra sino all’estremo. Ma il potere
politico-militare era diviso: il cancelliere Max von Baden dichiarava
decaduta la monarchia, mentre il comando della Marina militare decideva
una ultima disperata azione offensiva contro la flotta inglese.
A
questo punto (siamo tra la fine di ottobre e i primi di novembre 1918) i
marinai si ribellano. L’ammutinamento si trasforma presto in
rivoluzione con la ricostituzione dei Consigli. Il movimento
rivoluzionario si diffonde in tutta la Germania. Le parole d’ordine sono
semplici ed essenziali: basta con la guerra, nuovo ordine sociale, fine
dello sfruttamento capitalistico. Ma quale sarà la nuova struttura
istituzionale: parlamentare o consiliare? Quali le iniziative
socio-economiche da prendere: nazionalizzazioni, socializzazioni,
partecipazione diretta dei lavoratori alla guida delle fabbriche o
corresponsabilità diretta dei sindacati? Qual è il ruolo dello Stato?
Bisogna «fare come in Russia» oppure va evitato assolutamente quel
modello che nel frattempo è degenerato in repressione indiscriminata,
guerra civile e terrorismo?
Il quadro è reso complicato dalla
presenza di unità militari rimaste in armi. Di questi corpi armati,
alcuni sono fedeli alla repubblica, altri sono a sua disposizione
strumentalmente solo per combattere i socialisti radicali e i comunisti,
altri ancora sono apertamente ostili al nuovo ordine democratico nella
convinzione che la repubblica sia una esperienza provvisoria . Dietro a
essi, momentaneamente ammutoliti o zittiti, ci sono strati sociali
ostili a cambiamenti radicali. Sullo sfondo ma pressanti, le potenze
vincitrici della guerra determinate a farla pagare cara alla Germania,
gettandole addosso la colpa esclusiva del conflitto. Si apprestano a
imporre una pace, che sarà la peggiore e più controproducente della
storia moderna (il diktat di Versailles).
È difficile immaginare
una situazione tanto difficile e complicata. Deve essere gestita
politicamente dalla maggiore delle forze partitiche, la
socialdemocrazia. Friedrich Ebert, il leader della Mspd, è soprattutto
preoccupato di ristabilire al più presto un ordinato sistema
parlamentare funzionante, aperto alle domande sociali e socialiste
tradizionali. Ma la sua opinione è fortemente contrastata da altre
richieste di rivoluzione radicale anche sul piano istituzionale.
La
decisione cruciale è presa dal Congresso nazionale dei Consigli che a
Berlino il 19 dicembre decide la convocazione dell’Assemblea nazionale
costituente, respingendo con 344 voti contro 98 la proposta alternativa
di fondare subito una repubblica socialista fondata sul sistema dei
Consigli. La data della elezioni per l’Assemblea è fissata al 19 gennaio
e si riunirà a Weimar (da qui l’espressione «Germania di Weimar») . Nel
frattempo però hanno luogo altri gravi scontri politico-militari: il
«Natale di sangue» e la cosiddetta «rivolta spartachista» del gennaio
1919, a seguito della quale sono assassinati Rosa Luxemburg e Karl
Liebknecht. Un episodio che segnerà la rottura e l’ostilità definitiva
tra socialdemocratici e comunisti.
Tempo di compromessi
La
rivoluzione tedesca ha ricevuto i qualificativi più diversi: rivoluzione
mancata, tradita, incompiuta, conservatrice. Si è parlato anche di
democrazia improvvisata, sovraccaricata (di aspettative e di pretese).
Personalmente preferisco definirla «democrazia contrattata». Mi spiego.
«Democrazia
contrattata» significa innanzitutto fondata e dipendente da
patti/compromessi. Nella Germania del 1918 il primo patto/compromesso -
già in ordine cronologico - è quello militare tra le forze armate
sopravvissute al tracollo e il governo della repubblica virtualmente
indifesa di fronte ad attacchi armati.
Il secondo
patto/compromesso è quello tra sindacati e imprenditori che accolgono
molte richieste dei lavoratori, disinnescandone però il potenziale
rivoluzionario. La socialdemocrazia rinuncia a realizzare misure di
socializzazione-statalizzazione di settori chiave dell’economia (carbone
e acciaio) che avrebbero limitato in modo sensibile il potere economico
tradizionale, ma inserisce e rafforza la classe operaia organizzata
negli istituti della contrattazione collettiva e della protezione
sociale sotto la supervisione dello Stato. Da parte sua il sindacato
negozia la sua lealtà e il suo consenso allo Stato, la sua
autodisciplina in cambio di garanzie contrattuali, diritti di
partecipazione, di estensione dei diritti democratici. Lo Stato
interviene in modo sistematico rafforzando l’arbitrato nei conflitti di
lavoro, sviluppando l’ente di assicurazione contro la disoccupazione e
altre misure di protezione sociale.
Il «fantasma di Weimar»
Il
terzo patto è quello specificatamente politico stipulato tra i partiti
socialdemocratico, Zentrum cattolico e partito liberaldemocratico (la
«coalizione di Weimar») a garanzia della tenuta politica del tutto. Ma i
partiti avversari di destra estrema (e di sinistra comunista) si
adeguano a stento opportunisticamente alle nuove regole. Sono e si
sentono partiti anti-sistema.
Così la democrazia contrattata
tedesca è pesantemente contrassegnata da riserve mentali che hanno di
mira il rinnegamento o l’alterazione di quanto pattuito. La forma
democratica, invece di essere il quadro politico-istituzionale
accettato, entro cui si muovono e competono le forze sociali e
politiche, diventa essa stessa oggetto di contrattazione permanente, in
modo ora esplicito ora latente ora ideologicamente camuffato. Non manca
chi parla di «rivoluzione conservatrice» ostile all’idea stessa di
democrazia e repubblica proclamata dai «criminali del novembre 1918»; da
qui alla fine prenderà forma e sopravvento la «rivoluzione
nazionalsocialista».
Si parla volentieri di «lezioni di Weimar».
Quasi sempre in senso negativo, evocando il «fantasma di Weimar» ogni
qualvolta un sistema politico sembra paralizzarsi nella ingovernabilità o
lascia spazio a crescenti forze anti-sistema. Naturalmente le analogie
storico-politiche esigono sempre molta attenzione. Ma uno studio
dell’esperienza della Germania weimariana è motivo di utile riflessione
critica anche oggi.