La Stampa 12.4.18
In principio era il corpo: nudo
La rivoluzione russa della danza
Un
imponente saggio di Nicoletta Misler esplora il decennio 1920-1930 che
cambiò il balletto in un fervore anti-accademico: poi scese l’ombra di
Stalin
di Sergio Trombetta
Il disegno e la danza
nascono naturalmente da un solo grembo e sono soltanto due diverse
incarnazioni di un impulso unico». Lo scriveva il regista Sergej
Ejzenshtejn, il grande padre del cinema sovietico, il cui interesse per
il disegno non è una novità, ma quello per la danza è meno noto.
Interesse simile nutrivano del resto registi teatrali negli Anni 20, per
esempio Vsevolod Mejerchol’d o Aleksandr Tairov, che spesso invitavano
coreografi d’avanguardia a collaborare ai loro spettacoli.
Perché
un fervore di danza antiaccademica ha attraversato il panorama
dell’avanguardia russa all’inizio del ’900. Spettacoli che avevano come
fulcro il corpo nudo: «In principio era il corpo», parafrasando il
versetto biblico, era lo slogan del coreografo Lev Lukin che come altri
privilegiava la quasi totale nudità per mettere in risalto la plasticità
del corpo, rendere visibile il movimento.
Molte tendenze si
accavallano in una ventina di anni. Si passa dal simbolismo al
modernismo, da Isadora Duncan al danzatore jazz Valentin Parnach, da
Skrjabin al foxtrot, dalle danze plastiche a quelle eccentriche (i balli
occidentali) e meccaniche che imitano i movimenti degli ingranaggi. Un
mondo destinato a sprofondare nell’oblio della «normalizzazione»
staliniana.
Ecco perché vale la pena immergersi nelle oltre 400
pagine di L’arte del movimento in Russia 1920 – 1930 di Nicoletta Misler
(Umberto Allemandi, pp 470 pagine, € 150) e ripercorrere, attraverso un
sensazionale apparato iconografico, un cammino che la Misler traccia
tenendo come punto di riferimento la storia del Laboratorio Coreologico.
Era una istituzione moscovita, sino ad ora poco conosciuta, attiva dal
1923 al 1928 che riunì il meglio della Nuova Danza di quei tempi e
organizzò nel volgere di pochi anni quattro mostre dedicate all’Arte del
Movimento che sono state la testimonianza di tutta quella attività.
Accostavano disegni, fotografie, costumi, scritti teorici che avevano al
centro il balletto, la Nuova Danza, il movimento acrobatico, la
ginnastica, lo sport, i movimenti di massa, le danze di sala, il music
hall, il circo.
La Misler, eminente studiosa delle avanguardie
russe, ha avuto accesso privilegiato a una massa considerevole di
documenti che riemergono da archivi statali e soprattutto privati. Si
scopre così che anche in Russia nei primi venti anni del secolo la Nuova
Danza non fu meno importante e innovativa della danza espressionista
tedesca e centroeuropea.
Tutto comincia nel 1904 con l’esibizione a
Pietroburgo di Isadora Duncan. Dopo di lei nulla è più come prima. Le
sue danze libere faranno scuola e nel 1921 dopo sarà invitata dal
governo sovietico a fondare una scuola a Mosca. Il panorama si popola di
signorine borghesi che si esibiscono a piedi nudi (bosonozhki) in
fasulle danze greche, ma l’impulso per una nuova generazione di
coreografi e creatori è dato. Alla fine degli Anni Dieci molti compiono
pellegrinaggi in Germania a studiare con Rudolf von Laban o Alexander
Sacharov. Contemporaneamente nascono compagnie e scuole: lo Studio di
Danza Sintetica di Inna Chernetskaja, lo Studio Vera Majja, l’Istituto
di Educazione Ritmica di Nina Aleksandrova, lo Studio di Libero Balletto
di Lev Lukin il Mastfor di Nikolaj Foregger. Nel suo Atelier di Libero
Movimento Ljudmila Alekseeva teorizza uno stile fatto di «Tensione
muscolare e Rilassamento», così simile al «Contractrion and Release» di
Martha Graham o l’«Anspannung e Abspannung» di Mary Wigman. Centrale è
il Balletto da Camera di Kasjan Golejzovskij, figura di primo piano in
quegli anni, i cui esperimenti lontano dalle rigidità accademiche,
influenzarono il neoclassicismo di Balanchine.
Boris Erdman
disegna per lui scene e costumi, per esempio il Fauno o il balletto
biblico Giuseppe il bello, dall’erotismo acceso (presto censurato) e che
prendono vita su praticabili costruttivisti simili a quelli di Ljubov
Popova per Mejerchol’d.
Uguali passerelle e scale costruttiviste
usava Lev Lukin per la sua composizione «Saffo». Mentre danzatori dal
fascino androgino sono al centro dell’attenzione: Vasilij Efimov in
Giuseppe il bello o Aleksandr Rumnev le cui pose nelle fotografie
rimaste di Sarcasmi da Prokof’ev, sempre di Lukin, sono di incredibile
modernità.
Le danzatrici spesso a seno nudo e coperte da un solo
perizoma sono riprese in scatti flou, dai forti chiaroscuri
caravaggeschi, come piaceva a Moisej Nappelbaum, lontani dagli
sperimentatori Rodchenko o Lisitskij.
Questo fervore più ci
avviciniamo al termine degli Anni 20 più subisce i colpi della censura e
spesso della repressione per lasciare il passo alle parate di sportive,
alla «fizkul’tura».
Idealmente tutto finisce con il famoso
monumento all’operaio e alla kolchoziana di Vera Muchina del 1937, mille
volte riprodotto. Ma ormai siamo in pieno stalinismo.