Corriere 12.4.18
Teologia Guido Bartolucci (Paideia) analizza l’opera di uno dei maggiori esponenti del filone umanista fiorentino
E Marsilio Ficino recuperò la spiritualità ebraica
di Marco Rizzi
È
ormai diventato un luogo comune l’affermazione secondo cui le radici
della civiltà europea sarebbero, al tempo stesso, greco-latine,
cristiane ed ebraiche.
È anche possibile individuare il momento
preciso in cui si è costituita questa triplice eredità nella forma in
cui ancora oggi la conosciamo. Essa è infatti il frutto della
riscoperta, accanto a quella dei classici, della tradizione ebraica ad
opera degli umanisti fiorentini del XV secolo, tra cui spicca il
pensatore Marsilio Ficino. È costui, infatti, che per primo propone la
conciliazione non solo tra la filosofia greca, specie quella platonica, e
il cristianesimo, ma anche con il più antico strato della sapienza
ebraica risalente ai patriarchi, che Ficino ritiene di ritrovare in
alcuni elementi della qabbalah medievale.
L’interesse di Marsilio,
osserva Guido Bartolucci nel libro Vera religio (Paideia), nasceva dal
tentativo di ripensare la tradizione teologica e spirituale cristiana,
di cui si avvertivano nitidamente i segni di una crisi destinata ad
esplodere drammaticamente nel secolo successivo. Al momento, però,
prevaleva ancora l’idea che un rinnovamento della Chiesa fosse possibile
e che a questo fine la dimensione intellettuale potesse risultare
decisiva.
Così, di lì a poco sarà Pico della Mirandola a
sviluppare appieno l’idea di una originaria sapienza (la prisca
theologia ) di cui il cristianesimo rappresenta certo il culmine, ma cui
a buon diritto appartengono anche ebraismo e classicità.