internazionale 8.4.18
La settimana
Propaganda
Giovanni De Mauro
“Era
surreale trovarsi in mezzo ai manifestanti palestinesi, uomini, donne e
bambini che mangiavano gelati, chiacchieravano o raccoglievano fagioli
nei campi mentre un messaggio dell’esercito israeliano parlava di
‘17.000 rivoltosi palestinesi’”. Piotr Smolar, del quotidiano francese
Le Monde, era tra i pochi giornalisti presenti nella Striscia di Gaza il
30 marzo, quando soldati e cecchini israeliani hanno sparato sulla
folla, uccidendo diciassette palestinesi e ferendone centinaia. Tranne
qualche isolato lancio di pietre, alcuni copertoni bruciati e due uomini
armati (subito uccisi), i trentamila palestinesi hanno manifestato in
modo pacifico senza rappresentare mai un pericolo immediato per i
soldati di guardia alla barriera tra la Striscia e Israele, uno dei
confini più militarizzati del mondo. Ma l’esercito ha usato Twitter come
strumento di propaganda, raccontando in ebraico, in inglese e in
francese la sua versione dei fatti, e con WhatsApp ha mandato comunicati
ufficiali a corrispondenti stranieri e giornalisti israeliani. Il
risultato è che molti hanno parlato di “battaglia violenta” e di
“durissimi scontri”, come se i palestinesi avessero attaccato i soldati
israeliani o fossero stati comunque una minaccia. La manifestazione del
30 marzo nasceva soprattutto per protestare contro le terribili
condizioni di Gaza, dove quasi due milioni di palestinesi (di cui due
terzi profughi o loro discendenti originari di villaggi che oggi sono
israeliani) vivono da undici anni in una prigione a cielo aperto, senza
elettricità per venti ore al giorno, con il sistema idrico e sanitario
al collasso, i medicinali distribuiti ogni tre mesi, la disoccupazione
al 40 per cento, l’economia in ginocchio. Una situazione dovuta
all’occupazione israeliana dei territori palestinesi, al blocco imposto
da Israele ed Egitto, al braccio di ferro tra Hamas e Olp: una
catastrofe umanitaria i cui responsabili sono altri esseri umani.