lunedì 9 aprile 2018

internazionale 8.4.18
Ripensare il lavoro del futuro

The Guardian, Regno Unito

Qualche anno fa Marc Andreessen, un programmatore che ha fatto fortuna con uno dei primi browser, aveva predetto che il mondo si sarebbe presto diviso tra quelli che dicono ai computer cosa fare e quelli a cui i computer dicono cosa fare. Un recente studio dell’Ocse secondo cui nei paesi industrializzati solo un posto di lavoro su sei sarà cancellato dall’automazione è stato considerato una buona notizia rispetto alle previsioni che parlavano di un posto su due. Ma si tratta comunque di un’enorme trasformazione sociale. Molti dei nuovi lavori sono peggiori e meno gratificanti di quelli che scompaiono, in parte perché le persone finiscono alla base di una gerarchia dominata dai programmatori e dai software, come aveva previsto Andreessen. Ma questi impieghi hanno anche altri svantaggi: sono meno stabili e meno pagati, e questo non dipende dalla tecnologia ma dalle scelte politiche. L’Ocse fonda le sue conclusioni sull’idea che le competenze basate sulle interazioni sociali saranno difficili da rimpiazzare. Ma questo ottimismo potrebbe essere ingiustificato. I computer stanno diventando sempre più bravi ad analizzare suoni e immagini. Inoltre, mentre le macchine fanno sempre di più, gli utenti imparano ad aspettarsi sempre di meno. I servizi di relazione col pubblico sono sempre più automatizzati, e chi lavora nelle pubbliche relazioni è sempre più irreggimentato, al punto che nella burocrazia moderna non è molto diverso avere a che fare con una persona o con una macchina. I servitori umani diventeranno uno status symbol, ma questo non è certo un futuro desiderabile. Per un futuro più equo non basteranno i corsi di formazione e aggiornamento. Servirà un modello politico ed economico in cui nessuno viene considerato inutile e messo da parte.