martedì 3 aprile 2018

internazionale 1.4.18
L’opinione
Tutte le battaglie sono collegate tra loro I ragazzi scesi in piazza il 24 marzo si battono contro un sistema in crisi che impedisce ogni cambiamento
Di Sarah Jafe, New Republic, Stati Uniti

Durante le proteste del movimento Occupy Wall street a New York, nel 2011, c’era un uomo che reggeva un cartello con la scritta: “È un casino e sono tutte cazzate”. A prima vista poteva sembrare il simbolo della disorganizzazione di cui il movimento veniva spesso accusato. Ma era anche un messaggio appropriato. Effettivamente sembrava tutto un completo disastro, e quella frase è diventata una sintesi per comunicare la necessità di un cambiamento strutturale. Ci ho ripensato quando ho sentito Emma González, attivista del movimento contro le armi, pronunciare l’ormai famoso discorso “sono tutte cazzate”. Non solo per la scelta delle parole ma perché conteneva una rivendicazione più generale. Gli studenti che hanno guidato la marcia del 24 marzo a Washington e in altre città del paese protestano contro la mancanza di controlli sulle armi e contro una democrazia disfunzionale in cui gli adulti non fanno niente per fermare i massacri. Gli adulti difendono lo status quo o si impegnano a peggiorarlo in una serie di contesti che vanno oltre la violenza causata dalle armi, ma che comunque si ricollegano al problema: assistenza sanitaria, razzismo, disparità salariali e guerre avventuristiche con la missione di “far tornare grande l’America”. Le manifestazioni del 24 marzo sono servite ad affermare che è ora di fare cambiamenti radicali, soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump. Dai palchi di tutto il paese è emerso un modo diverso di vedere il mondo, senza la violenza delle armi da fuoco. A Los Angeles Edna Chavez ha parlato di cosa significa imparare a schivare i proiettili prima di imparare a leggere, e della morte di suo fratello ucciso in una sparatoria. Chavez ha criticato duramente il modo in cui sono trattati gli studenti che vivono nella zona sud della città. “Armare gli insegnanti non funzionerà. Il rafforzamento delle misure di sicurezza nelle nostre scuole non funzionerà. La politica della tolleranza zero non funzionerà. In questo modo ci fate solo sentire dei criminali. Non dovreste darci agenti di polizia ma un dipartimento specializzato nella giustizia riparatoria. Dobbiamo affrontare le radici dei problemi che abbiamo e trovare un’intesa su come risolverli”. Chavez ha chiesto anche tirocini pagati e opportunità di lavoro per i giovani.
Comunità soffocate
Naomi Wadler, 11 anni da Alexandria, in Virginia, è intervenuta a Washington per dire che i suoi pensieri appartengono solo a lei e che si rifiuta di essere “uno strumento nelle mani di un adulto senza nome”, sottolineando la scarsa attenzione per la morte delle donne nere, “le cui storie non finiscono mai in prima pagina e nei telegiornali”. La preoccupazione di Wadler per le ragazze riecheggiava nei cartelli esposti dai manifestanti in molte città degli Stati Uniti: “In questo paese il mio utero è più regolamentato delle pistole”. “In America i vestiti delle ragazze a scuola sono più regolamentati delle pistole”. Un’accusa non solo ai politici ma anche al legame tra le armi e il maschilismo e al problema del controllo. Molti cartelli si chiedevano anche dove fosse finito il cosiddetto movimento pro life, per la vita. Nino Brown, un’insegnante di Boston, ha chiesto un momento di silenzio per Stephon Clark, un nero disarmato ucciso dalla polizia di Sacramento il 18 marzo. “Tutti i miei studenti vengono da comunità di operai devastate dalla violenza. Il mio popolo, il mio popolo oppresso e colonizzato è stanco di essere ignorato da chi detiene il potere”. La sua comunità, ha spiegato Brown, è “soffocata” dalla segregazione, dalle ingiustizie economiche e dalla mancanza di finanziamenti. “Noi insegnanti chiediamo che i nostri figli possano frequentare scuole finanziate adeguatamente con servizi che aiutino gli studenti ad affrontare il trauma e riducano la violenza”. I manifestanti non si limitano a chiedere “la messa al bando dei fucili d’assalto”. Non è così semplice. Ciò che ha spinto tutte quelle persone ad agire è un grande movimento che ha creato lo spazio per un reale cambiamento. Un movimento che chiede un nuovo senso comune, capace di portare nel dibattito nazionale idee radicali.