internazionale 1.4.18
Movimenti
I protagonisti del cambiamento 
Da Hong Kong all’Etiopia passando per la Polonia, negli ultimi anni l’impegno giovanile ha trasformato il dibattito politico
Joshua Wong, Hong Kong 
Nato
 a Hong Kong nel 1996, a 17 anni Joshua Wong è diventato uno dei leader 
della “rivoluzione degli ombrelli”, il movimento nato per chiedere 
elezioni libere al governo cinese che amministra la regione speciale. 
Fin dall’inizio i funzionari di Pechino l’hanno accusato di essere un 
agente degli Stati Uniti. Wong fa parte della prima generazione di 
giovani di Hong Kong cresciuta sotto il dominio cinese (nel 1996 l’ex 
colonia britannica fu restituita alla Cina), che è anche quella più 
refrattaria all’influenza di Pechino. Tra luglio del 2017 e gennaio del 
2018 Wong ha ricevuto due condanne per aver partecipato alle 
manifestazioni del 2014. All’inizio di febbraio la corte suprema di Hong
 Kong ha deciso di proscioglierlo dalle accuse. 
Alaa Abdel Fattah, Egitto 
Nato
 in una famiglia di militanti per la democrazia in Egitto, a 20 anni 
Alaa Abdel Fattah è stato tra i primi blogger a sfidare la censura di 
Hosni Mubarak. Durante la primavera egiziana è diventato il simbolo 
della rivoluzione di piazza Tahrir. Oggi è in carcere per avere 
organizzato una manifestazione contro il regime di Al Sisi, ma riesce a 
scrivere articoli per il sito indipendente Mada Masr, in cui rilette 
sull’impegno politico: “La mia generazione è maturata nel periodo della 
seconda intifada e poi della guerra in Iraq. I nostri fratelli arabi 
gridavano ‘Non toccate la nostra dignità’, mentre nel resto del mondo 
gli attivisti cantavano ‘Not in my name’ e ‘Un altro mondo è possibile’.
 Abbiamo capito che il mondo che avevamo ereditato stava finendo e che 
non eravamo soli”. 
Agnieszka Dziemianowicz-Bąk, Polonia 
Il
 3 ottobre del 2016 decine di migliaia di persone, quasi tutte vestite 
di nero, sono scese in piazza in molte città polacche per contestare un 
disegno di legge, proposto da un’organizzazione religiosa vicina al 
governo conservatore, che rendeva l’aborto punibile con il carcere anche
 in caso di stupro e rischi per la salute della madre. Tra le leader del
 movimento c’è Agnieszka Dziemianowicz-Bąk, 34 anni, del partito di 
sinistra Razem, che durante un discorso nel “lunedì nero” ha accusato il
 governo di voler “trasformare i medici in guardie carcerarie” e di 
riportare la Polonia “al medioevo”. Pochi giorni dopo le manifestazioni,
 il parlamento ha respinto il disegno di legge con una maggioranza 
schiacciante. 
Ahed Tamimi, Palestina 
Il nuovo 
simbolo della resistenza palestinese all’occupazione israeliana è una 
ragazza di diciassette anni nata nel villaggio di Nabi Saleh, in una 
famiglia di attivisti. Il 19 dicembre del 2017 Ahed Tamimi è stata 
arrestata dalle forze israeliane con l’accusa di aver preso a schiaffi e
 a calci un soldato israeliano. Il video dell’accaduto ha fatto il giro 
del mondo. Poco prima Mohammed Tamimi, un cugino di Ahed di 15 anni, era
 stato colpito alla testa da un proiettile sparato da un soldato 
israeliano. Il processo contro Ahed Tamimi è cominciato il 13 febbraio 
in un tribunale militare a porte chiuse. Il 21 marzo Tamimi è stata 
condannata a otto mesi di carcere, dopo un accordo raggiunto con i 
giudici in base al quale la ragazza si è dichiarata colpevole per 
quattro dei dodici capi d’accusa presentati contro di lei, tra cui 
aggressione e istigazione alla violenza. Inoltre dovrà pagare una multa 
equivalente a 1.166 euro. La madre della ragazza, Narimane, che aveva 
girato il video, è stata condannata a otto mesi. 
Feyisa Lilesa, Etiopia 
Ventotto
 anni, medaglia d’argento nella maratona alle olimpiadi del 2016, 
l’atleta etiope è diventato il simbolo della causa oromo quando, al 
momento della premiazione, ha incrociato i polsi in segno di protesta. 
La comunità oromo è la più numerosa in Etiopia, ma sostiene di essere 
emarginata e perseguitata dal governo. Da almeno due anni i gruppi 
oromo, tra cui il movimento giovanile Qeerroo (un termine che indica i 
giovani scapoli), organizzano proteste e scioperi per chiedere più 
libertà politica e una migliore rappresentanza delle diverse etnie nelle
 istituzioni. All’inizio del 2018 la pressione è diventata così forte da
 spingere il governo a liberare migliaia di prigionieri politici e il 
primo ministro Hailemariam Desalegn a dimettersi.
 
