internazionale 15.4.18
Visti dagli altri
La crisi della sinistra passa da Ferrara
In
questa città storicamente rossa ha vinto la Lega. Gli intellettuali
ferraresi danno la colpa al Pd, che non ha ascoltato i cittadini, e alla
mancanza di dibattito politico
Di Juliette Bérnabent, Télérama, Francia
L’
auto rallenta e ha i vetri abbassati. “È finita la cuccagna!”, urla il
guidatore mostrando il pollice all’insù davanti alla sede della Lega, in
pieno centro storico. Sulla soglia Alan Fabbri e Nicola Lodi, i
responsabili locali del partito, salutano. I due leghisti scandivano
questo slogan prima delle elezioni del 4 marzo per attaccare la sinistra
che da tempo governa Ferrara. E poi hanno vinto: Maura Tommasi, la loro
candidata, è stata eletta alla camera dei deputati. La Lega, con il
circa il 25 per cento, ha gli stessi voti del Partito democratico (Pd) e
del Movimento 5 stelle, ma grazie ai meccanismi della legge elettorale e
alla coalizione di centrodestra ha battuto il ministro dei beni
culturali Dario Franceschini, di Ferrara, dal 2001 deputato del Pd. La
cultura è la ricchezza di questa cittadina dell’Emilia-Romagna. È la sua
arma di fronte al declino dell’agricoltura e dell’industria. Il profilo
maestoso del castello estense, i bastioni restaurati che tracciano una
lunga passeggiata, le mostre di pittura, i concerti di musica classica
nei palazzi rinascimentali e l’università: Ferrara, provincia agricola
sul delta del Po, è una città colta, intellettuale. Questo non le ha
impedito, però, dopo aver votato per sessant’anni a sinistra, di
liberarsi della sua etichetta di città “rossa”.
L’Italia è di
nuovo in una fase d’instabilità politica, dopo che Lega e cinquestelle
hanno indebolito i partiti tradizionali, Pd e Forza Italia. E gli
intellettuali ferraresi incassano il colpo.
“Al sicuro nella
nostra bolla non abbiamo visto arrivare questa sventola”, ammette Pietro
Pinna, 40 anni, ricercatore di storia contemporanea e militante di
sinistra. “L’errore è stato quello di credere nel potere eterno
dell’eredità politica: quasi tutti qui hanno un nonno operaio e
comunista. Ma non si vota più per lealtà”. Strumentalizzare la paura
Davanti a uno spritz al Leon d’oro, dove gli anziani gustano pasticcini,
Alan Fabbri, barba e coda di cavallo, non nasconde la sua
soddisfazione. Alle legislative del 2013 la Lega aveva ottenuto solo il
2,8 per cento. “Abbiamo costruito una base elettorale solida parlando di
sicurezza, economia e immigrazione”, dice. Accanto a lui Nicola Lodi
mostra il suo orgoglio. La vittoria elettorale si deve molto anche a
questo barbiere di 40 anni, che organizza manifestazioni contro i
migranti e i rom e fa “inchieste” popolari: compra droga dagli
spacciatori locali e filma tutto con una telecamera nascosta. Poi
denuncia gli spacciatori ai carabinieri. Il suo negozio si è trasformato
in un ufficio reclami. “La sinistra da tempo non ascolta più nessuno”,
dice. “Noi siamo qui, tutti hanno il nostro numero di cellulare. Ci
occupiamo dei problemi veri”. Nel cuore di una delle regioni più ricche
d’Europa, rispetto alle città vicine Ferrara è un po’ la sorella minore e
complessata. Non ha il successo di Modena con la Ferrari né il trionfo
della gastronomia di Parma né il tessuto di piccole e medie imprese di
Bologna. La sua popolazione (132mila abitanti) invecchia, la
disoccupazione ha raggiunto il 10,6 per cento (nel resto della regione è
al 5 per cento, nel paese all’11 per cento). Le sue contraddizioni
saltano agli occhi: un centro magnifico, intellettuale e acculturato
accanto a periferie rurali tristi e poco istruite. “È una provincia
storicamente agricola, dove la bonifica totale delle paludi risale a
meno di un secolo fa”, ricorda Pietro Pinna. “Con il declino
dell’agricoltura e poi del polo chimico, Ferrara ha avuto difficoltà a
valorizzare la sua riconversione. Eccetto che sul piano culturale”.
Gioiello
del medioevo e del rinascimento, “è una città immersa nella foschia, in
senso letterale e figurato, è come se fosse immobile”, dice lo
scrittore Roberto Pazzi, 71 anni. “Per questo è sempre stata
d’ispirazione per gli artisti: qui si deve riempire il vuoto”. Culla
della scuola pittorica ferrarese nel rinascimento, della pittura
metafisica inventata da Giorgio de Chirico e da altri artisti sui letti
dell’ospedale militare nel 1917, la città ha visto nascere Michelangelo
Antonioni e crescere Giorgio Bassani, autore del romanzo Il giardino dei
Finzi-Contini, portato sul grande schermo nel 1971 da Vittorio De Sica.
Bassani è sepolto nel cimitero ebraico.
A partire dal duecento
gli ebrei, protetti dagli estensi, formarono a Ferrara una delle più
importanti comunità italiane. “Stranamente Ferrara ha sempre affidato il
suo destino ai despoti”, osserva Pazzi. “Governata per trecento anni
dalla casa d’Este, dal 1598 passò sotto il papato, poi seguì Mussolini e
infine il comunismo, accolto con lo stesso fervore un po’ cieco”. Qui
negli anni venti i grandi proprietari terrieri aderirono con passione al
fascismo. I braccianti, invece, costruirono un’organizzazione di stampo
comunista fatta di sezioni locali, sindacati, case del popolo. Un
paradosso storico ancora vivo, per esempio nel paese di Goro, dove alla
fine del 2016 i cittadini hanno impedito che venissero accolti una
decina di migranti (naturalmente il barbiere Nicola Lodi era lì) e la
Lega ha fatto il pieno di voti. “Eppure a Goro, impregnata di cultura
della solidarietà, il 45 per cento degli abitanti ha votato a lungo
comunista”, sottolinea Pinna. “E lo spaccio di droga non è una novità:
quando ero adolescente i tossicodipendenti si bucavano in pieno centro.
La novità è che oggi gli spacciatori sono neri. La sinistra non ha
saputo parlare di immigrazione e la Lega si è avventata su questo
silenzio per strumentalizzare la paura”. Nel suo bell’appartamento in
pieno centro, dove aleggia l’odore dei sigari, Lola Bonora, 82 anni, non
riesce a calmarsi. “Che spreco! Tutta la nostra cultura finirà nelle
mani di persone sgradevoli e ignoranti della Lega e dei cinquestelle”,
tuona. Dal 1974 al 1994 ha diretto un importante centro di videoarte che
ha ospitato Andy Warhol e la performer Marina Abramović, e ha
organizzato collaborazioni con il Moma di New York o il Centre Pompidou
di Parigi. “La sinistra ha dimostrato una terribile arroganza. Ha
creduto di poter vivere per sempre di rendita in questa regione che l’ha
sempre votata. E ha finito per abbandonare l’esercizio quotidiano di un
governo più vicino alla gente. Questo terreno abbandonato è stato
invaso dai populisti”. L’analisi è condivisa dall’ex sindaco Roberto
Sofritti, 76 anni, che ha amministrato la città dal 1983 al 1999. “La
politica è fatta di idee, di coraggio, di pragmatismo. E soprattutto del
dialogo con le persone. ogni giorno andavo a piedi in comune, facevo
visita a tutte le sezioni locali del partito. Non bisogna perdere il
contatto con il territorio”. È nato a Ferrara e suo padre, un militante
comunista, fu assassinato nel 1944 dai nazifascisti quando lui aveva tre
anni. L’ex sindaco è entrato nel Partito comunista a diciannove anni. È
stato lui a scommettere sulla cultura e sulle alleanze. “Con Nino
Cristofori, braccio destro di Giulio Andreotti, abbiamo collaborato,
nonostante le divergenze, alla nascita nel 1989 di Ferrara Musica con
Claudio Abbado e la Chamber orchestra of Europe. Stesso discorso vale
per il rettore dell’università, un liberale, con cui abbiamo collaborato
per attirare i docenti e aprire i dipartimenti. La facoltà è passata da
cinquemila a diciottomila iscritti”. Perino i suoi avversari, che lo
accusano di clientelismo, ammettono che è stato capace di far
risplendere la città, dal 1995 patrimonio mondiale dell’Unesco e meta di
un fiorente turismo culturale.
Mentre i cinquestelle si
attestano da cinque anni intorno al 25 per cento, la Lega è riuscita a
ottenere una crescita spettacolare grazie a promesse semplicistiche:
fine dell’immigrazione clandestina, uscita dall’euro, autonomia delle
regioni, una lat tax al 15 per cento. E grazie anche all’impoverimento
della cultura politica italiana. “Gli intellettuali hanno abbandonato il
dibattito politico che un tempo molti di loro amavano, sia a destra sia
a sinistra”, sottolinea Lola Bonora. “Dopo venticinque anni di cultura
berlusconiana – una televisione che istupidisce e il culto del denaro e
della menzogna – nessuno sa più pensare, argomentare, discutere”.
Sofritti conserva invece un po’ di speranza: “Il fascismo è un brutto
seme italiano e, anche se lo nega, è proprio quel seme che la Lega ha
fatto fiorire. Ma abbiamo sofferto troppo, non posso immaginare il
futuro di Ferrara senza la sinistra”. La Lega, però, ha buone speranze
di vincere le elezioni amministrative del 2019: Alan Fabbri potrebbe
ottenere la carica di sindaco e il barbiere Lodi quella di assessore
alla sicurezza. Nonostante l’ottimismo di Soffritti, oggi Ferrara dice
basta alla sinistra.