lunedì 16 aprile 2018

internazionale 15.4.18
Visti dagli altri
La crisi della sinistra passa da Ferrara
In questa città storicamente rossa ha vinto la Lega. Gli intellettuali ferraresi danno la colpa al Pd, che non ha ascoltato i cittadini, e alla mancanza di dibattito politico
Di Juliette Bérnabent, Télérama, Francia


L’ auto rallenta e ha i vetri abbassati. “È finita la cuccagna!”, urla il guidatore mostrando il pollice all’insù davanti alla sede della Lega, in pieno centro storico. Sulla soglia Alan Fabbri e Nicola Lodi, i responsabili locali del partito, salutano. I due leghisti scandivano questo slogan prima delle elezioni del 4 marzo per attaccare la sinistra che da tempo governa Ferrara. E poi hanno vinto: Maura Tommasi, la loro candidata, è stata eletta alla camera dei deputati. La Lega, con il circa il 25 per cento, ha gli stessi voti del Partito democratico (Pd) e del Movimento 5 stelle, ma grazie ai meccanismi della legge elettorale e alla coalizione di centrodestra ha battuto il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, di Ferrara, dal 2001 deputato del Pd. La cultura è la ricchezza di questa cittadina dell’Emilia-Romagna. È la sua arma di fronte al declino dell’agricoltura e dell’industria. Il profilo maestoso del castello estense, i bastioni restaurati che tracciano una lunga passeggiata, le mostre di pittura, i concerti di musica classica nei palazzi rinascimentali e l’università: Ferrara, provincia agricola sul delta del Po, è una città colta, intellettuale. Questo non le ha impedito, però, dopo aver votato per sessant’anni a sinistra, di liberarsi della sua etichetta di città “rossa”.
L’Italia è di nuovo in una fase d’instabilità politica, dopo che Lega e cinquestelle hanno indebolito i partiti tradizionali, Pd e Forza Italia. E gli intellettuali ferraresi incassano il colpo.
“Al sicuro nella nostra bolla non abbiamo visto arrivare questa sventola”, ammette Pietro Pinna, 40 anni, ricercatore di storia contemporanea e militante di sinistra. “L’errore è stato quello di credere nel potere eterno dell’eredità politica: quasi tutti qui hanno un nonno operaio e comunista. Ma non si vota più per lealtà”. Strumentalizzare la paura Davanti a uno spritz al Leon d’oro, dove gli anziani gustano pasticcini, Alan Fabbri, barba e coda di cavallo, non nasconde la sua soddisfazione. Alle legislative del 2013 la Lega aveva ottenuto solo il 2,8 per cento. “Abbiamo costruito una base elettorale solida parlando di sicurezza, economia e immigrazione”, dice. Accanto a lui Nicola Lodi mostra il suo orgoglio. La vittoria elettorale si deve molto anche a questo barbiere di 40 anni, che organizza manifestazioni contro i migranti e i rom e fa “inchieste” popolari: compra droga dagli spacciatori locali e filma tutto con una telecamera nascosta. Poi denuncia gli spacciatori ai carabinieri. Il suo negozio si è trasformato in un ufficio reclami. “La sinistra da tempo non ascolta più nessuno”, dice. “Noi siamo qui, tutti hanno il nostro numero di cellulare. Ci occupiamo dei problemi veri”. Nel cuore di una delle regioni più ricche d’Europa, rispetto alle città vicine Ferrara è un po’ la sorella minore e complessata. Non ha il successo di Modena con la Ferrari né il trionfo della gastronomia di Parma né il tessuto di piccole e medie imprese di Bologna. La sua popolazione (132mila abitanti) invecchia, la disoccupazione ha raggiunto il 10,6 per cento (nel resto della regione è al 5 per cento, nel paese all’11 per cento). Le sue contraddizioni saltano agli occhi: un centro magnifico, intellettuale e acculturato accanto a periferie rurali tristi e poco istruite. “È una provincia storicamente agricola, dove la bonifica totale delle paludi risale a meno di un secolo fa”, ricorda Pietro Pinna. “Con il declino dell’agricoltura e poi del polo chimico, Ferrara ha avuto difficoltà a valorizzare la sua riconversione. Eccetto che sul piano culturale”.
Gioiello del medioevo e del rinascimento, “è una città immersa nella foschia, in senso letterale e figurato, è come se fosse immobile”, dice lo scrittore Roberto Pazzi, 71 anni. “Per questo è sempre stata d’ispirazione per gli artisti: qui si deve riempire il vuoto”. Culla della scuola pittorica ferrarese nel rinascimento, della pittura metafisica inventata da Giorgio de Chirico e da altri artisti sui letti dell’ospedale militare nel 1917, la città ha visto nascere Michelangelo Antonioni e crescere Giorgio Bassani, autore del romanzo Il giardino dei Finzi-Contini, portato sul grande schermo nel 1971 da Vittorio De Sica. Bassani è sepolto nel cimitero ebraico.
A partire dal duecento gli ebrei, protetti dagli estensi, formarono a Ferrara una delle più importanti comunità italiane. “Stranamente Ferrara ha sempre affidato il suo destino ai despoti”, osserva Pazzi. “Governata per trecento anni dalla casa d’Este, dal 1598 passò sotto il papato, poi seguì Mussolini e infine il comunismo, accolto con lo stesso fervore un po’ cieco”. Qui negli anni venti i grandi proprietari terrieri aderirono con passione al fascismo. I braccianti, invece, costruirono un’organizzazione di stampo comunista fatta di sezioni locali, sindacati, case del popolo. Un paradosso storico ancora vivo, per esempio nel paese di Goro, dove alla fine del 2016 i cittadini hanno impedito che venissero accolti una decina di migranti (naturalmente il barbiere Nicola Lodi era lì) e la Lega ha fatto il pieno di voti. “Eppure a Goro, impregnata di cultura della solidarietà, il 45 per cento degli abitanti ha votato a lungo comunista”, sottolinea Pinna. “E lo spaccio di droga non è una novità: quando ero adolescente i tossicodipendenti si bucavano in pieno centro. La novità è che oggi gli spacciatori sono neri. La sinistra non ha saputo parlare di immigrazione e la Lega si è avventata su questo silenzio per strumentalizzare la paura”. Nel suo bell’appartamento in pieno centro, dove aleggia l’odore dei sigari, Lola Bonora, 82 anni, non riesce a calmarsi. “Che spreco! Tutta la nostra cultura finirà nelle mani di persone sgradevoli e ignoranti della Lega e dei cinquestelle”, tuona. Dal 1974 al 1994 ha diretto un importante centro di videoarte che ha ospitato Andy Warhol e la performer Marina Abramović, e ha organizzato collaborazioni con il Moma di New York o il Centre Pompidou di Parigi. “La sinistra ha dimostrato una terribile arroganza. Ha creduto di poter vivere per sempre di rendita in questa regione che l’ha sempre votata. E ha finito per abbandonare l’esercizio quotidiano di un governo più vicino alla gente. Questo terreno abbandonato è stato invaso dai populisti”. L’analisi è condivisa dall’ex sindaco Roberto Sofritti, 76 anni, che ha amministrato la città dal 1983 al 1999. “La politica è fatta di idee, di coraggio, di pragmatismo. E soprattutto del dialogo con le persone. ogni giorno andavo a piedi in comune, facevo visita a tutte le sezioni locali del partito. Non bisogna perdere il contatto con il territorio”. È nato a Ferrara e suo padre, un militante comunista, fu assassinato nel 1944 dai nazifascisti quando lui aveva tre anni. L’ex sindaco è entrato nel Partito comunista a diciannove anni. È stato lui a scommettere sulla cultura e sulle alleanze. “Con Nino Cristofori, braccio destro di Giulio Andreotti, abbiamo collaborato, nonostante le divergenze, alla nascita nel 1989 di Ferrara Musica con Claudio Abbado e la Chamber orchestra of Europe. Stesso discorso vale per il rettore dell’università, un liberale, con cui abbiamo collaborato per attirare i docenti e aprire i dipartimenti. La facoltà è passata da cinquemila a diciottomila iscritti”. Perino i suoi avversari, che lo accusano di clientelismo, ammettono che è stato capace di far risplendere la città, dal 1995 patrimonio mondiale dell’Unesco e meta di un fiorente turismo culturale.
Mentre i cinquestelle si attestano da cinque anni intorno al 25 per cento, la Lega è riuscita a ottenere una crescita spettacolare grazie a promesse semplicistiche: fine dell’immigrazione clandestina, uscita dall’euro, autonomia delle regioni, una lat tax al 15 per cento. E grazie anche all’impoverimento della cultura politica italiana. “Gli intellettuali hanno abbandonato il dibattito politico che un tempo molti di loro amavano, sia a destra sia a sinistra”, sottolinea Lola Bonora. “Dopo venticinque anni di cultura berlusconiana – una televisione che istupidisce e il culto del denaro e della menzogna – nessuno sa più pensare, argomentare, discutere”. Sofritti conserva invece un po’ di speranza: “Il fascismo è un brutto seme italiano e, anche se lo nega, è proprio quel seme che la Lega ha fatto fiorire. Ma abbiamo sofferto troppo, non posso immaginare il futuro di Ferrara senza la sinistra”. La Lega, però, ha buone speranze di vincere le elezioni amministrative del 2019: Alan Fabbri potrebbe ottenere la carica di sindaco e il barbiere Lodi quella di assessore alla sicurezza. Nonostante l’ottimismo di Soffritti, oggi Ferrara dice basta alla sinistra.