Il Sole Domenica 29.4.18
Cultura visuale
Indisciplinati modi di vedere
La recente scoperta, in Spagna, di alcune pitture rupestri eseguite da uomini di Neanderthal
di Anna Li Vigni
La
recente scoperta, in Spagna, di alcune pitture rupestri eseguite da
uomini di Neanderthal ha rivoluzionato molte nostre supposizioni sulle
origini culturali della specie Homo. Non soltanto Sapiens sapiens ha
testimoniato la propria presenza sul pianeta ricorrendo a immagini, ma
anche il neanderthaliensis ha assecondato questa necessità. Nel corso
dell’evoluzione, l’uomo ha prodotto e sviluppato al contempo forme sia
linguistiche sia figurative che, senza alcuna gerarchia in termini di
importanza, rispondono entrambe a esigenze cognitive fondamentali per la
sopravvivenza della specie.
La cultura occidentale, però,
tradizionalmente portata a sopravvalutare il linguaggio, ci ha abituati a
leggere la visione in termini linguistici, a interpretare le immagini
come “testi” da descrivere verbalmente – dall’antica tecnica retorica
dell’ékphrasis, la descrizione di opere d’arte, fino alla moderna
semiotica dell’arte visiva -, un atteggiamento che si è definitivamente
radicato con la «svolta linguistica» novecentesca (il Linguistic Turn di
Rorty), che ha fatto del linguaggio un paradigma universale.
Da
tutto questo Tom Mitchell, padre del Pictorial Turn, ha ben preso le
distanze ormai un paio di decenni fa. Il suo rivoluzionario approccio
alle immagini ha decretato la nascita della Cultura Visuale che, a detta
dello stesso Mitchell, più che una disciplina è un’«indisciplina», in
quanto ripensa radicalmente molti approcci tradizionali al vedere come
quelli dell’estetica e della storia dell’arte.
Le principali
questioni concernenti la Visual Culture sono esposte in una raccolta di
saggi fondamentali di Mitchell, intitolata appunto Pictorial Turn. Saggi
di cultura visuale, per la cura di Michele Cometa e Valeria Cammarata.
Il pensatore americano fonda la propria “svolta” epistemologica sulla
convinzione che il visivo e il verbale siano assolutamente irriducibili
l’uno all’altro, ed è da ricusare ogni possibile comparazione tra di
essi, dal momento che le immagini vanno guardate secondo una prospettiva
rigorosamente visuale, che possiede leggi sue proprie.
Per
immagini, però, la cultura visuale intende ogni tipo di raffigurazione e
immagine possibile – dal dipinto alla pubblicità, dal reportage
giornalistico al film, ai prodotti della tecnologia digitale –
allargando la sfera dell’esperienza della visione a ogni ambito del
vivere, anche e soprattutto quello quotidiano, all’interno del quale,
però, spesso è rintracciabile una forte condensazione culturale: si
prenda a esempio la tremenda fotografia dell’Hooded Man di Abu Ghraib,
che rinvia alle radici iconografiche dell’Ecce Homo.
Rileggendo
criticamente lo strabordante fenomeno dell’odierno «terrorismo delle
immagini», potenziato a dismisura dalla tecnologia web con esiti
evidentemente più che drammatici, Mitchell sottolinea l’assoluta
necessità nonché l’urgenza di un nuovo approccio al vedere, che sia
fondamentalmente antropologico. La domanda non è, dunque, «che cosa sono
le immagini», ma come funzionano, ovvero «che cosa vogliono da noi»,
visto che – come dimostrato pure dalle scienze cognitive e dalle
neuroscienze – esse possiedono un’intrinseca “capacità di agire”,
provocando reazioni significative negli spettatori. È opportuna la
distinzione tra immagini mentali (Images) e materiali (Pictures), le
quali ultime sono veicolate da supporti che ne diffondono il potere nel
contesto sociale e da pratiche mediatiche che ne amplificano la
pervasività.
Ciò che emerge è l’eccezionalità delle condizioni cui
è soggetta la pratica del vedere nel mondo contemporaneo, laddove le
reazioni sociali al visuale sono macroscopiche: «Il nostro Pictorial
Turn è solo uno degli innumerevoli Pictorial Turn della storia, un
momento di addensamento culturale e sociale che scaturisce da un nuovo
rapporto tra l’uomo e l’immagine, rapporto profondamente condizionato
dalle nuove tecnologie». Si tratta di costruire una scienza
dell’immagine che vada più a fondo nella comprensione delle dinamiche
umane del vedere - dai graffiti preistorici ai new media -, di elaborare
quindi un’archeologia dell’immagine che si possa risolvere pure in
un’«archeologia del presente» alla luce della quale, come scrive Cometa
nella splendida introduzione, si «cominci a riconoscere che la
contemporaneità è forse più misteriosa per noi del passato più
distante».
Tom Mitchell, Pictorial turn. Saggi
di cultura visuale , a cura di Michele Cometa e Valeria Cammarata, Raffaello Cortina, Milano, pagg. 243, € 24